In viaggio con Giulietta6 La città del Canaletto

di Annalisa Rabagliati
20170630_110928[1]Arriviamo a Dresda dopo un viaggio segnato da un po’ di code in autostrada. Ci sono file di camion tali da farti riflettere sul problema mondiale dell’inquinamento. Il clima è peggiorato, il tempo è incerto e il bellissimo centro città è avvolto da una luce grigia. È pomeriggio tardi e le strade bagnate sono deserte: pochi turisti condividono con noi la visione dei palazzi principeschi dall’aria oscura e un po’ lugubre. Non c’è nessuno in questa città? A poco a poco, camminando, scopriamo dove sono finiti tutti: bar, pizzerie, centri commerciali e weinstube, osterie, sono pieni di clienti .

Non fa piacere a nessuno andare in giro con freddo e umidità, soprattutto d’estate: ce ne rendiamo conto il giorno dopo, quando gli stessi monumenti sono inondati dal sole e le strade dalla gente. I palazzi rinascimentali e barocchi che il giorno prima apparivano tristi oggi si mostrano nella loro bellezza, le guglie della Residenza dei principi elettori e dello Zwinger appaiono come ricamate, la cupola della Frauenkirche splendente, il fiume, l’Elba, maestoso. Nelle piazze pianisti e cantanti lirici improvvisano concerti, le carrozze trainate da cavalli Gondrand portano in giro i turisti e le code agli ingressi dei musei si allungano.

Vediamo tutto il centro monumentale: la chiesa cattolica di corte, il teatro Semper Opera, che assomiglia alla Scala, la Residenza del principe con le stanze del tesoro, i manufatti artistici, la biblioteca e l’armeria, e il palazzo Zwinger, dal giardino interno che ricorda quelli di Versailles, con le sue esposizioni, come quella bellissima delle porcellane, ma anche la galleria d’arte.

I principi elettori, in particolare Augusto il Forte e Augusto III erano grandi collezionisti ed acquistavano tutti gli oggetti preziosi o le opere d’arte che piacevano loro, a cominciare dalla Madonna Sistina di Raffaello, che si ammira nella pinacoteca e che costò una somma esorbitante. Chiamavano a corte gli artisti dell’ epoca, tra i quali il veneziano Canaletto, cui si devono le famose vedute di Dresda da cui non riesco a staccare gli occhi e che mi fanno restare stupefatta per la precisione dei dettagli e mi avvolgono nell’atmosfera settecentesca. E che dire della bellezza della raccolta di porcellane? Ce ne sono di giapponesi, di cinesi e, ovviamente, le famose porcellane tedesche di Meissen.

Per lungo tempo i Cinesi erano stati i soli ad avere la capacità di creare porcellane, soprattutto blu, colore ottenuto dal cobalto del medio oriente. Il principe Augusto il Forte voleva superarli in maestria e fondò la prima manifattura europea della porcellana rinchiudendo nella fortezza di Meissen, vicino a Dresda, l’inventore della formula europea, un alchimista, perché restasse segreta. Ma ecco che dapprima gli artigiani tedeschi, poi quelli europei riuscirono a creare capolavori come quelli qui conservati.

Erano grandi collezionisti i principi sassoni, che rivaleggiavano con i re francesi, ma non erano molto abili nel far la guerra, tanto da perdere territori in favore dei Prussiani. I sudditi pagavano le tasse ed accettavano gli acquisti folli del sovrano, ma quando Augusto il Forte, per diventare re di Polonia, si convertì al cattolicesimo, espressero il loro dissenso ricostruendo la chiesa protestante Frauenkirche, quella dalla cupola in pietra più grande a nord delle Alpi, che si può vedere da ogni parte della città.

Durante i bombardamenti del febbraio 1945 la città venne distrutta quasi completamente. La Frauenkirche non fu direttamente colpita, ma bruciò a causa del calore provocato dagli incendi delle case vicine. Passata la guerra la città fu ricostruita, ma durante tutto il periodo comunista la chiesa rimase un ammasso di macerie. Solo nel ’93 si trovò il denaro per rifarla: i ruderi che erano rimasti come un monito contro la guerra vennero numerati e catalogati al computer e, grazie ai disegni originali che erano stati conservati, si riuscì a riavere la chiesa che è il simbolo della città.

Osservandola si notano le parti recuperate, in pietra arenaria resa scura dal tempo, che spiccano sulle parti di materiale nuovo, producendo un effetto curioso, come di patchwork. Mi fa venire in mente l’unità di una popolazione che riesce comunque ad integrare il vecchio con il nuovo, gli autoctoni con gli immigrati. Davanti alla chiesa è stato eretto, come monumento in ricordo dell’orrore vissuto, un pezzo superstite della vecchia cupola.

Inevitabile per noi pensare alla morte di 25.000 persone inermi nel corso di due sole notti e io mi chiedo perché si volle infliggere una così dura punizione ad una popolazione già stremata, quando era chiaro che la guerra stava ormai per finire. C’è chi dice, invece, che i Tedeschi non si sarebbero mai arresi all’evidenza e che, in fondo, la guerra l’avevano voluta loro. È un problema troppo grande perché ci sia una risposta univoca. Quel che è certo è che i Tedeschi hanno saputo risollevarsi con grande caparbietà.
Dresda subì una grave alluvione nel 2002, ma, con tenacia, i suoi abitanti restaurarono tutto ancora una volta e oggi, al tramonto, guardando da un ponte sull’Elba il profilo della città, noi restiamo affascinati dallo stesso panorama che affascinò il Canaletto.
20170630_195553[1] 20170630_214808[1]

Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

In viaggio con Giulietta6 La città del Canalettoultima modifica: 2017-07-28T16:22:27+02:00da picci-teacher
Reposta per primo quest’articolo