BOGIANEN 9: Le perle del Mediterraneo

IMG_20220614_120830 (2)IMG_20220614_115000 (4)                                              di Annalisa Rabagliati

 

È inutile: viaggiando in gruppo il problema più importante per noi non è, come cantava Celentano, trovare una ragazza di sera, ma, parodiando Zucchero, trovarsi a dover canticchiare “ Donne, du du du, in  cerca di un bagno …” e così a Catania la prima cosa che facciamo noi donne, complice il ritardo della guida, è metterci alla ricerca e, non essendoci bar nella zona dove è in attesa il pullman, ci fiondiamo in una sala Bingo, già aperta alle dieci del mattino! Per la prima volta in vita mia entro in un luogo di perdizione ( dei sudati risparmi) per depositare il mio contributo.

Non sorridete, signori lettori uomini, con quell’aria di superiorità, so che avete anche voi certe esigenze, vi abbiamo visti tutti, non negate di essere umani … Conclusa l’incombenza, finalmente arriva la guida, che si scusa del ritardo, anche se in realtà siamo noi che siamo arrivati con largo anticipo, per la voglia sfrenata di visitare Catania e Taormina, perle del Mediterraneo.

La nostra guida di oggi è un’amabile signora, dalla voce un po’ flebile e dal tono così tranquillo da causare, nel pomeriggio, il già citato abbiocco totale dei  turisti sul pullman, nonostante stia raccontando notizie storiche e artistiche di grande interesse e con entusiasmo professionale. Un entusiasmo direttamente proporzionale alla sua età, perché la signora, di una eleganza discreta vagamente british, sembra avere già passato abbondantemente l’età della pensione, e subito si accendono scommesse tra di noi su quanti anni possa avere. Alla fine si scopre che veleggia sull’ottantina! E ciò accresce la nostra ammirazione per la sua indomita voglia di farci conoscere le bellezze della città in cui vive.

La nostra visita inizia a piedi: ci rechiamo con l’accompagnatrice nella piazza del Duomo, dove, per prima cosa, ci precipitiamo a fare incetta di cassatine e dolcetti di marzapane, nei caffè della piazza, per poi entrare nella cattedrale, dedicata a sant’Agata. L’imponente chiesa venne rifatta più volte, nel corso della sua storia, non solo per l’avvicendarsi delle dominazioni, ma a causa delle catastrofi che colpirono la città: eruzioni dell’Etna e terremoti. L’ultimo terremoto disastroso fu quello, citato più volte, del 1693 che la rase quasi al suolo,  per cui anche a Catania lo stile Barocco è quello preponderante.                                                                                                                                                                                                                                                           Il governatore dell’epoca si avvalse dei migliori architetti che decisero di ricostruire la città tracciando strade ortogonali, più razionali delle strade medievali, nate senza uno schema, e il materiale per palazzi, chiese e pavimentazione delle strade fu la nera pietra lavica, qui abbondante. È in pietra lavica la via Etnea che fu tracciata ex novo da sud a nord e si dirige verso l’Etna, come di pietra lavica è la piazza del Duomo, dove troneggia la fontana dell’Elefante, formata da un elefante nero che regge un obelisco. Nella stessa piazza è pure in pietra lavica il palazzo comunale, detto degli Elefanti e  va da sé che l’elefante è il simbolo di questa città e lo si trova anche nello stemma.

La nostra guida ci conduce dietro al duomo di sant’Agata dall’elegante facciata barocca, per mostrarci le tre absidi semicircolari di epoca normanna, sempre in pietra lavica, che hanno resistito all’ingiuria delle catastrofi naturali. All’interno invece troviamo la tomba di Vincenzo Bellini, il grande compositore catanese (cui è dedicato non solo il teatro dell’Opera, ma anche il principale giardino pubblico), e la cappella dedicata a Sant’Agata. La patrona di Catania viene festeggiata per giorni, all’inizio di febbraio, e a lei sono dedicate altre chiese e badie in città.

Una costruzione medievale che ha resistito persino alla colata lavica del 1669 e che vediamo dall’esterno è il Castello Ursino, voluto da Federico II di Svevia, mentre il monastero benedettino di san Nicolò, cinquecentesco, resistette alla lava, ma non al terremoto della fine di quel secolo e fu ricostruito come gli altri palazzi in stile barocco. Ora è la sontuosa sede dell’ università di scienze umanistiche, accanto alla quale vediamo la chiesa di san Nicolò l’Arena, che fu ricostruita nella stessa epoca, ma la cui facciata, per contese tra i Benedettini e le imprese costruttrici, rimase incompiuta.

San Nicolò l’Arena deve il suo nome alla rena rossa, la sabbia del posto con cui era stata costruita la chiesa primitiva. In tutte le epoche antiche il materiale da costruzione era reperito sul posto e la rena rossa e soprattutto la pietra lavica vennero usate a Catania già dai Romani e, prima ancora, dai Greci, fondatori di Katàne, come la chiamarono. Delle vestigia romane visitiamo il teatro, che si pensa sia stato costruito su quello greco più antico. Ma dell’origine greca di Catania restano tracce nelle statue costruite nell’Ottocento e nel Novecento, in ricordo di miti, leggende e suggestioni antiche. In piazza del Duomo troviamo la Fontana dell’Amenano, un fiume ora sotterraneo, che all’epoca greca veniva personificato in un dio di bell’aspetto: ecco perché la statua rappresenta un giovane che versa acqua da una cornucopia, che porta fortuna e abbondanza, come l’acqua dolce in una città.

Quanto tempo ci vorrebbe per visitare al meglio questa bella città? Non basta certo un giro mattutino, merita di tornarci. Adesso però dobbiamo correre a Taormina, fondata su una terrazza del crinale del monte Tauro (da cui il nome romano Tauromenium), dove ci aspetta un panorama splendido. Lungo la strada ci accompagna la vista dell’Etna, che farà da sfondo al teatro greco.

Lasciato il pullman, prendiamo una navetta e poi camminiamo sulla passeggiata sul mare scorgendo in lontananza la costa calabra, finché arriviamo nella cittadina, molto graziosa, ma un po’ affollata. Anche qui c’è un museo, nel palazzo normanno Corvaja, sulle arti e tradizioni popolari, che non potrò vedere, ma non certo per perdere tempo facendo lo struscio tra le boutiques alla moda per i turisti danarosi. Il nostro scopo non è lo shopping, ma la visita al teatro greco.

Ci avviamo, tra ville e case più modeste adorne di altissime bougainvillee incredibili.  Ed ecco che entriamo nel teatro e saliamo i gradini che migliaia e migliaia di piedi hanno calpestato. Il cielo limpido, il mare in basso, il vulcano in lontananza, lo scenario antico dove si tengono rappresentazioni da secoli prima di Cristo, mi danno sensazioni di gioia che non sono in grado di esprimere a parole. Se non l’hai mai visto, difficilmente riesci a immaginare tanta bellezza. Se ci vai, mandami un messaggio, che ti accompagno!

Lasciamo Taormina per andare a pernottare ad Acireale e chiediamo alla guida, mentre è ancora con noi, perché ci sono tanti paesi con il prefisso Aci nel nome. La spiegazione è che il primo borgo, dal nome Aci Castello, ha subìto due terremoti a distanza di pochi secoli ed ogni volta è stato ricostruito, ma la prima volta gli abitanti fuggiti diedero vita ad altri insediamenti dando loro un nome iniziante con Aci. Sono nove i centri abitati della riviera dei Ciclopi che portano questo prefisso: i più famosi sono Aci Trezza, il paese dei Malavoglia, e Acireale, dove c’è l’ennesimo magnifico duomo barocco. Si chiama riviera dei Ciclopi perché vi sono grandi scogli nel mare che sembrano essere massi lanciati da Polifemo contro Ulisse in fuga dopo averlo beffato. Che significa Aci? Si tratta del nome (in greco Akis) di un fiume ormai scomparso, forse a causa di un’eruzione dell’Etna, che scorreva nel luogo in cui nacque Aci Castello.

Ma la  Sicilia è terra di miti e leggende che risalgono ai tempi antichi e c’è una spiegazione mitologica anche questa volta. Narra Ovidio nelle “Metamorfosi” che Aci, figlio di Pan, era un pastorello bellissimo e gentile, che corteggiava una nereide altrettanto bella, Galatea. Questa però era concupita anche da Polifemo, che, lo sappiamo dai tempi delle medie, era gigantesco, ma orribile e rozzo ed aveva un occhio solo ( o tre, se dobbiamo dar credito ai mosaici della villa romana del Casale). Quale scelta difficile per la povera Galatea!

Credo che non avrai dubbi su chi ebbe il suo amore: Aci, naturalmente, e i due godettero insieme sulle rive e sulle spiagge dei piaceri della natura e non solo. Per breve tempo, però, perché Polifemo, accecato (in senso metaforico, stavolta) dall’ira, scagliò un masso enorme sul povero Aci e lo ridusse a pezzi. Molto tempo dopo si dirà che quei nove pezzi diedero vita ai nove borghi, ma questa è un’altra storiella. Il mito, invece, racconta che Galatea, disperata per l’orribile morte dell’innamorato, invocò gli dei perché glielo facessero riabbracciare e questi trasformarono il sangue di Aci in un fiume che discendeva dall’Etna e si gettava in mare per riunirsi a Galatea trasformata nella sua spuma.

L’albergo di Acireale è bellissimo e moderno, ci arriviamo per cena e non abbiamo tempo per visitare la città, ma anche stasera durante la passeggiata dopo cena ci aspetta un plenilunio luminoso sulla piazza dello splendido duomo barocco e penso con rammarico che questa è la nostra ultima serata in Sicilia. A meno che … i voli low cost domani siano nuovamente annullati per sciopero! Chissà?

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BOGIANEN 9: Le perle del Mediterraneoultima modifica: 2022-08-07T19:29:09+02:00da picci-teacher
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