L’uomo della sua vita

di Annalisa Rabagliati

Cecilia aveva il cuore che le batteva più veloce del solito mentre, scesa dal bus, si recava al luogo dell’appuntamento. Doveva percorrere tre isolati, poi girare a sinistra e sarebbe arrivata in via Orvieto. Aveva controllato un sacco di volte sullo stradario per essere sicura. Era emozionata come una ragazzina, nonostante avesse superato da tempo gli “anta”, ma era una reazione normale, visto che per la prima volta si recava ad un appuntamento con uno sconosciuto.

Di quell’uomo gentile, trovato tramite Internet, sapeva il nome, Adelmo, e mille piccoli particolari che lui le aveva raccontato nei moltissimi messaggi in chat e nelle mail che si erano scambiati, tanto che aveva ritenuto normale fidarsi e si era lanciata a dargli il numero di cellulare. Sentire al telefono la voce dell’uomo, calda, morbida come una carezza, aveva giocato a favore: nonostante il timore e la timidezza Cecilia, avvertito che si era creato un certo “feeling” tra lei e quello che ormai non riteneva più un estraneo, aveva deciso che era giunto il momento di incontrarlo. Aveva lasciato però che fosse lui a chiedere, anzi, a fissare un appuntamento, per non sembrare troppo famelica.

Adelmo aveva chiesto a Cecilia la data di nascita per studiare il suo quadro astrale. Si vantava infatti di essere un bravo astrologo e di aver stilato l’oroscopo di molti personaggi famosi. Questa abilità rientrava tra le sue innumerevoli capacità e si era rivelata anche un’ottima fonte di guadagno. Certo aveva dovuto cambiare il proprio nome, perché un astrologo che si chiamava Giuseppe non risultava molto convincente. Facendo l’oroscopo di Cecilia Adelmo aveva previsto un giorno in cui lei avrebbe avuto ottime possibilità di incontrare l’uomo della sua vita. Adelmo/Giuseppe aveva scelto la data del loro primo incontro di conseguenza.

Cecilia era contentissima: finalmente, dopo anni dall’ultima deludente esperienza sentimentale, poteva riconciliarsi col genere maschile, avendo trovato, supponeva, l’uomo giusto. La foto su Internet suggeriva che era attraente, molto più di quanto si sarebbe augurata, ma, si sa, si mettono online le foto più riuscite, magari dal vivo lui era un po’ più normale.

In quanto a lei, Cecilia era cosciente di non essere miss Mondo, ma quello che gli uomini definiscono un “tipo”. Sapeva però rendersi interessante e poi con un po’ di trucco, biancheria strategica e un abito giusto poteva fare la sua figura. Il difficile era stato proprio trovare un abito che fosse abbastanza sensuale ed elegante, ma non troppo, dovendo prendere il bus, perché non voleva neanche sentirsi a disagio o, come quando si recava in centro, sembrare la classica paesana agghindata che va in città.

L’appuntamento cui stava recandosi però non era affatto in centro, ma in una zona semiperiferica, molto popolare e, mentre cercava il numero civico, Cecilia osservava con un po’ di apprensione i pochi abitanti che incontrava: tutti immigrati del nord Africa, a quanto pareva. Strano, molto strano che il suo corrispondente avesse lo studio in una zona come quella.

“Il mio studio è in via Orvieto -le aveva detto- una zona nuova della città, fatta di palazzi eleganti e moderni. Ci possiamo incontrare nel bar che è nel palazzo a fianco del mio, così, se uno di noi due fosse in ritardo, l’altro può aspettare in un posto raffinato.” A Cecilia quella zona non sembrava né elegante né raffinata e, quel che è certo, non era una zona nuova. Molto strano. Cercò il numero civico che lui le aveva indicato, ma non c’era nulla che indicasse uno studio medico. “Troverai la targa con la scritta: Studio paramedico – Pranoterapia 1° piano”.

Cecilia percorse tutto l’isolato, avanti e indietro, ma non vide nessuna targa, nessun cartello. Dall’altra parte della strada, davanti ad un’autofficina, un anziano magrebino, dalla barbetta come un Imam e vestito con una tunica, stava parlando ad alcuni uomini, quasi certamente suoi connazionali. Cecilia non osò andare a chiedere informazioni. Si avvicinavano però due donne, e, benché avessero l’aria un po’ volgare, lei si fece coraggio e chiese loro se sapevano se ci fosse uno studio medico nei paraggi. Quelle si misero a ridere e scossero la testa.

Cecilia stava abbattendosi un po’, ma non si perse d’animo. Si mise a cercare con lo sguardo il bar raffinato, ma l’unico locale che vide fu un caffè che aveva più l’aspetto di una vecchia bettola che di un posto elegante. Cecilia pensò che prima di entrare lì dentro era meglio telefonare ad Adelmo. Lo chiamò e gli disse che non riusciva a trovare il suo studio e che anche il bar, visto da fuori, non le sembrava quello da lui indicato.

“Ma come?- si stupì lui – Eppure tutti trovano il mio studio, non è così difficile! Vai nel bar e chiedi di me, del Dottor Maestro, vedrai che te lo sapranno indicare. Comunque aspettami lì, io mi libero di un cliente e tra un quarto d’ora al massimo arrivo”.
Cecilia sorrise tra sé sentendo Adelmo definirsi “Dottor Maestro”, visto che Maestro difficilmente era il suo cognome e, per sua stessa ammissione, lui non era neppure un vero medico. Però le aveva spiegato che era pranoterapeuta e maestro di Reiki e che aveva aiutato molte persone ponendo le mani sulle loro parti dolenti. Non solo a sofferenti per dolori muscolari o artriti, ma anche a chi aveva sindromi più complesse. Ammetteva, a dire il vero con una certa modestia, di essere un guaritore abbastanza bravo.

Cecilia era sempre stata un po’ scettica riguardo le cure non convenzionali, ma lui aveva saputo essere convincente, parlandole con quella voce suadente, che usava per spiegare che la maggior parte dei malanni che ci affliggono deriva dal nostro stato d’animo e che spesso non guariamo perché in realtà non vogliamo uscire da una situazione di dolore che, in fondo, ci fa comodo.

“Non vogliamo scuoterci dalla nostra pigrizia, fisica e mentale,- le diceva – abbiamo paura dei cambiamenti e ci imponiamo di non aprirci all’altro, all’ignoto, per farlo entrare nella nostra vita. Ci crogioliamo nel nostro malessere, mentre basterebbe allargare i nostri orizzonti per guarire. Ognuno di noi nel mondo moderno ha questi problemi e, a maggior ragione, può averli una donna ancora giovane e bella come te, che, avendo sofferto molto in passato, nutre timori eccessivi verso tutti gli uomini.”
“Come puoi sapere se ho sofferto a causa degli uomini?” gli aveva chiesto Cecilia, evitando di domandargli come facesse a giudicarla bella, avendo visto solo una sua foto, che non la mostrava neppure attraente.
“Mia cara, io sono anche un sensitivo e uno psicologo e sento che una donna come te non può non aver interessato nessuno, solo che non hai trovato la persona giusta, quella che possa farti sentire veramente femmina! Fino ad ora, intendo …”

Cecilia sapeva che questi complimenti erano così generici che avrebbero potuto essere rivolti a qualunque altra donna, ma aveva davvero voglia di uscire dalla monotonia della sua vita ed era propensa ad illudersi. Che cosa c’era di male? Tutto quello che lui diceva era espresso in modo sempre gentile ed educato e trasmetteva un messaggio tanto positivo e incoraggiante da ispirare fiducia. Chissà? Forse questa era davvero la volta buona.

Anche quella sera alle parole di Adelmo si sentì molto sollevata ed entrò nel bar, cioè in quel che si potrebbe meglio definire un’osteria. Un posto abbastanza squallido: un piccolo locale male illuminato da un solo lampadario, arredato con vecchio mobilio scuro, con due vetrine ingombre di vetrofanie che impedivano alla luce esterna di penetrare. Attorno ad un tavolino, in un angolo, quattro anziani pensionati che giocavano a carte sembravano far parte dell’arredo. Accanto ad una porta che immetteva, presumibilmente, nel retrobottega, una slot-machine con annesso cliente ludopatico di mezza età. Tutto l’insieme era molto deprimente e dava un’impressione di grande trascuratezza. O forse non tutto: dietro il bancone un sorriso stupito, ma, al tempo stesso, accogliente, illuminò il volto del barista, un uomo dall’aspetto gradevole che dimostrava un po’ più di quarant’anni.

Cecilia ricambiò il suo saluto e gli chiese se sapesse dov’era lo studio del Dottor Maestro. La risposta del barista fu: “Non ne ho idea, ma non ho capito: è un dottore o un maestro?” Cecilia disse che si trattava del nome con cui quella persona era conosciuta in zona, ma il barista spiegò che lì non c’erano né studi medici, né insegnanti, ma solo una biblioteca civica ed un paio di scuole, qualche isolato più in là. “Se invece avesse bisogno di un pensionato o di un disoccupato, ne ho sempre qualcuno a disposizione” ridacchiò.

Cecilia non aveva voglia di continuare la conversazione col barista e preferì chiedere se poteva prendere un caffè e sedersi per aspettare un conoscente. “Ma certo, signorina, –disse lui- abbiamo un’altra splendida sala, qui dietro, la servo subito!” e le indicò la porta accanto alla slot-machine. I pensionati e lo slot-dipendente seguirono con sguardo curioso quella signorina elegante e un po’ imbarazzata che andava a sedersi nella stanza del biliardo.

Cecilia bevve il caffè e si mise ad aspettare Adelmo. Mancavano pochi minuti e lo avrebbe finalmente visto di persona. Si sentiva al tempo stesso elettrizzata ed intimorita. Non vedeva l’ora di conoscerlo ed era curiosa di sapere se era di aspetto diverso da quello della foto su Internet. Controllò nello specchietto il proprio. Sentiva quasi il bisogno di fare una scappata in bagno, ma se lui fosse arrivato in quel momento e non l’avesse vista? E in che condizioni poteva essere la toilette? Meglio aspettare. Passarono alcuni minuti, molti più dei quindici promessi. Si disse che, probabilmente, il cliente aveva trattenuto Adelmo più del dovuto. Controllò se il fiore che si era appuntata al bavero della giacchetta fosse ancora a posto. Il fiore doveva servire a farla riconoscere nel bar affollato, ma forse lì non ce n’era proprio bisogno …

Era trascorsa ben più di mezz’ora dalla telefonata, come mai Adelmo non era ancora arrivato? Perché non l’aveva neppure chiamata? Controllò il cellulare: spento! Senza volere lo aveva spento dopo aver parlato con lui. E se l’avesse cercata? Riaccese il telefonino e vide due chiamate perse, di Adelmo! Oddio ! Lo richiamò subito.
“MA DOVE ***** SEI? – le urlò Adelmo – è quasi un’ora che ti aspetto al bar! Ho mandato via una cliente per te e tu non ti sei fatta viva!”
“Ma no … sono qui … al bar… che aspetto …”replicò timidamente lei
“Ma che ***** dici? IO SONO QUI AL BAR E TI ASPETTO! E TU DOVE ***** SEI?” tuonò Adelmo
“Al bar, al bar – balbettò Cecilia – Non capisco perché non ti vedo, non c’è quasi nessuno..”
“MA IN QUALE ***** DI BAR ? QUELLO VICINO AL MIO STUDIO?”
“Sì, certo, in via Orvieto….”
“VIA ORVIETO Z ? A YYYYYY?” insistette lui
“Come a YYYYYY? Via Orvieto Z a XXXXXX ! … Oh no!” D’un tratto Cecilia si ricordò che un giorno Adelmo le aveva detto di essere contento di non vivere nel capoluogo, XXXXXX, come lei, perché, abitando in una città satellite, come la sua, YYYYYY, c’erano più possibilità di farsi un nome e una clientela e, allo stesso tempo, si era vicini alla grande città. Come aveva potuto dimenticarlo?
“SEI IN VIA ORVIETO A XXXXXX? MA SEI IMPEDITA O COSA?” si inalberò ancora di più Adelmo. Lei cercò di rimediare: “Non ti preoccupare, Adelmo, ora prendo un taxi e arrivo!”
Ma lui rispose: “Non mi preoccupo per niente, anzi! Meglio così, meglio non aver conosciuto una testa di ***** come te! Chiunque sarebbe stato capace di arrivare qui! Mi spiace solo che ho lasciato andare una vera donna, perché dovevo incontrarmi con una brutta stupida come te! Ti dico una cosa: non troverai mai nessuno che voglia mettersi con te, non sei capace di nulla, per questo starai SEMPRE SOLA! Te lo meriti!” E interruppe la comunicazione.

Cecilia rimase sconvolta dal repentino cambiamento di Adelmo: la sua voce, solitamente carezzevole, era diventata di colpo stridula, le sue parole così taglienti e villane l’avevano ferita e umiliata. Le tornarono alla mente i mille insuccessi, le mille delusioni e brutte figure della sua vita. Possibile che per lei una storia non fosse mai a lieto fine? Anche questa volta poteva toccare con mano la propria inadeguatezza. Ma quello non sarebbe dovuto essere il giorno del suo incontro fortunato? Non ce la fece a trattenersi e scoppiò in pianto, lì nel locale.

“Signorina, che cos’ha? Che cosa le è successo? Sta male? Posso aiutarla in qualche modo?”
Dal suono della voce il barista sembrava davvero sinceramente preoccupato per lei. Sarebbe stata la prima volta che qualcuno le dimostrava un po’ di solidarietà.
“Sto bene, grazie- rispose Cecilia, tirando su col naso- ora le pago il caffè e vado.”
“Ma non se ne parla neanche- fece lui- anzi, ora le offro qualcosa per tirarsi un po’ su, che so … una leva, un argano …”
Lei scoppiò a ridere tra le lacrime e disse: “Con la batosta che ho preso non mi basta un carro attrezzi!”

Qualche tempo dopo Cecilia come ogni mattina, di buon’ora, stava leggendo il quotidiano. Di tanto in tanto sollevava gli occhi dalle pagine e si guardava intorno: com’era migliorato quel locale dalla prima volta in cui vi era entrata! Adesso era luminoso, arredato con gusto, più frequentato: impiegati e commercianti che lavoravano in zona gradivano la ricca scelta di piatti economici ma gustosi per la pausa pranzo, le signore che accompagnavano i figli nelle vicine scuole si fermavano volentieri per un cappuccino ed anche molti immigrati facevano parte della clientela. Giovanni, il barista, rivolgeva a tutti lo stesso sorriso aperto e schietto che aveva offerto a lei quel giorno lontano e continuava ad accogliere i fedeli pensionati e i disoccupati che venivano per chiacchierare, non trovando più la slot-machine che era stata eliminata per non sfruttare la dabbenaggine dei poveracci in cerca di fortuna.

La fortuna non devi cercarla, arriva quando vuole e non fa quello che ti aspetti.Guarda che cosa era successo a lei! Aveva sbagliato indirizzo ed era entrata di malavoglia in quel bar, solo perché pensava che fosse il giorno in cui avrebbe incontrato l’uomo della sua vita: un uomo gentile e comprensivo, almeno così aveva creduto fino a quando Adelmo l’aveva trattata in quel modo. A volte si chiedeva se non avesse sbagliato a non dargli un’altra possibilità, quando lui l’aveva nuovamente cercata, pentito del proprio comportamento … in fondo era colto, stimolante, un tipo speciale … e poi sapeva anche fare l’oroscopo!

Lo sguardo le cadde su una notizia di cronaca: “È stato tratto in arresto un sedicente guaritore, che si faceva chiamare Dottor Maestro, al secolo Giuseppe Rossi, con l’accusa di essere responsabile della morte di una ragazza. Nel suo pretenzioso studio, in via Orvieto Z , in una zona elegante di YYYYYY, è stato trovato materiale compromettente che proverebbe torbidi traffici e il suo coinvolgimento nella sparizione di numerose altre donne.”

Cecilia rabbrividì al pensiero che avrebbe potuto essere una di loro, se non avesse sbagliato indirizzo, quel giorno… Che fortuna aveva avuto! Guardò la foto dell’arrestato: non era quella che Adelmo aveva messo su Internet. Questa lo mostrava calvo, grassoccio, un po’ strabico. Molto più brutto di Giovanni, il barista.
Giovanni si avvicinò con aria preoccupata e le chiese: “Che ti succede, amore? Sei impallidita improvvisamente. Stai male?”
Cecilia sollevò gli occhi dal giornale e osservò il volto aperto di Giovanni e il suo sguardo sincero. “No, non ti preoccupare, caro, sto bene.- rispose – Stavo solo pensando che dicono che la fortuna è cieca, ma secondo me non è vero, per me ci vede benissimo!”

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L’uomo della sua vitaultima modifica: 2017-09-27T17:27:06+02:00da picci-teacher
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2 pensieri su “L’uomo della sua vita

    • Grazie, cara! E complimenti anche a te perché sei riuscita a scrivere un commento qui sul blog, cosa che agli altri non sempre riesce, infatti commentano su Fb o WhatsApp. Purtroppo il codice Chapcta, o come si chiama, ero in un primo tempo riuscita a toglierlo, ma poi è riapparso, inamovibile! Comunque se vi piacciono i miei scritti avreste voglia di repostarli ai vostri amici? Grazie e a presto!

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