Riflessioni di una ex giovane

5114477_1404_coronavirus_bimbo_andra_tutto_benedi Annalisa Rabagliati

Nella giornata mondiale della poesia vorrei iniziare le mie riflessioni con un verso profetico:”Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” . Lo scrisse Ungaretti in una trincea dell’inutile  strage.

 

Noi non ci sentiamo appesi a un ramo o a un filo, ma lo siamo, lo siamo sempre, non solo in epoca di pandemia. Vedere la fila di camion militari con le bare dei deceduti destinati alla cremazione ci fa pena, ci impressiona e ci riporta alla realtà umana. Morire è  inevitabile, ma c’è una cosa peggiore ed è morire senza esequie, senza che altri possano prenderci la mano e piangerci sopra. Morire senza una cerimonia di accompagnamento, che però non serve ai morti, ma a chi resta, per mettersi l’animo in pace e andare avanti.

Guardiamo le bare e ci chiediamo:”La prossima volta toccherà a noi?” A noi ormai anziani che una società opulenta  e una medicina progredita hanno viziato al punto di garantire un’aspettativa di vita quasi eterna? A noi che ora ci sentiamo defraudati di quella garanzia? A noi che, d’accordo,  abbiamo già dato e anche ricevuto, ma che ci siamo arrabbiati e rattristati quando, all’inizio dell’epidemia, delle prime vittime i media dissero quasi “meno male, era solo un vecchio”, correggendo poi il tiro alle proteste di chi ha fatto notare che un vecchio non è un  numero, ma una persona?

La società  moderna, non più  patriarcale, insieme a tantissimi pregi, ha portato ad una mancanza di interesse verso i vecchi e la loro esperienza,  nonostante l’ipocrisia di dire che una persona è più grande, per non usare l’aborrito termine “vecchio”. E così nessuno vuol sentirsi vecchio, c’è la retorica del giovanilismo a tutti i costi, ma noi vecchi non fingiamo di essere giovani,  né crediamo di essere inutili e , salute permettendo, possiamo e vogliamo essere attivi.

Troviamo ingiusto dover lasciare tutto: gli affetti, la vita.  Non vorremmo restare per sempre, ma perché così presto? Abbiamo già vissuto per un lungo, fuggevole attimo, ma non ci basta mai. E allora ci troviamo a meditare sul senso dell’esistenza. C’è chi sottovaluta incredulo la possibilità che la malattia colga proprio lui e rimanda ogni preoccupazione.  C’è chi è sicuro di essere la prossima vittima e si abbandona a una nera mancanza di prospettive. C’è chi riscopre la fede e prega in privato o pubblicamente. Chi ha fede, una fede autentica non dovrebbe disperare perché raggiungerà quella meta in cui crede. Ma fino a che punto crede? L’essere umano è  fatto di dubbi. Chi non ha fede è il più attaccato alla vita e si accorge di quanto vorrebbe ancora fare, di quanto ha trascurato di fare.

E tutti ci chiediamo se le persone care serberanno un bel ricordo di noi e rimpiangiamo di non poter vedere tanti  amici al nostro funerale come in tempi normali. Ma il morto non vede, non guarda: anche in tempi normali non è interessato. Il buio, il nulla, la fine del film. Una insignificante,  infinitesimale particella dell’Universo tornerà all’Universo. Servirà questo a conoscere la Verità?

L’essere umano è fatto di dubbi  e chi non crede almeno in una cosa crede, contraddicendosi: che non si saprà nulla, perché non si sarà in grado di sapere nulla, perché nell’Universo non contiamo nulla, così come nulla conta per noi una microscopica cellula del nostro corpo.

Ma se, così come la  più piccola cellula è  parte del nostro corpo, noi siamo comunque parte dell’Universo, allora  finché il Cielo o Dio o l’Universo ci permette di vivere questa forma di vita promettiamo a noi stessi che cercheremo il Paradiso in Terra,  essendo buoni, empatici, solidali, incoraggianti con gli altri. E gli altri ci ricambieranno e si ricorderanno di noi, quando andremo a scoprire il volto di Dio.

Ma forse non sarà ancora questa volta. Forse il Destino  ci lascerà ancora continuare la nostra corsa. Forse avremo imparato  a correr meno, ad essere più attenti agli altri, più rispettosi del Pianeta  di cui facciamo parte.

Forse. Una sola cosa è  certa: passerà. La pandemia come ogni fenomeno storico  passerà. Ci vuole pazienza, ma passerà. Cerchiamo di non contagiare il prossimo  e ringraziamo chi si prodiga per salvarlo.

La  vita continuerà.  Nasceranno altri bambini e gli anziani torneranno a morire al loro tempo e tutto questo sarà ricordato nei testi di storia. E i bambini, diventati adulti, ricorderanno  con affetto chi li ha preceduti.

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Riflessioni di una ex giovaneultima modifica: 2020-03-21T17:25:55+01:00da picci-teacher
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2 pensieri su “Riflessioni di una ex giovane

  1. Brava Annalisa, come al solito belle parole senza essere retorico ne bacchettone molto bello mi è piaciuto!

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