Giulietta in Toscana 2

di Annalisa Rabagliati

CERTaldo, come sapete se avete letto la prima parte di “Giulietta in Toscana”, è la prossima meta del nostro viaggio. CERTo arrivarci è facile, meno CERTo è dove si ci si debba fermare. I cartelli indicano CERTaldo Centro e CERTaldo Alto. CERTamente se fossimo stati all’ufficio informazioni turistiche sapremmo quale scegliere, ma gli uffici ti danno sempre le info quando sei già nel paese e non ne hai più bisogno … Propendiamo per CERTaldo Centro, ma alla vista di una cittadina moderna con  palazzi e strade anni settanta, siamo inCERTi sul da farsi e ripercorriamo la strada già fatta, non senza iniziare un acceso dibattito, state pur CERTi, finché vediamo l’indicazione di una funicolare, senza altri chiarimenti. Decidiamo allora che quello che noi cerchiamo è CERTaldo Alto, e per acCERTarci che sia vero ci andiamo con Giulietta, su una strada che si inerpica sulla costa collinare e fa un giro piuttosto lungo per giungere al borgo antico di CERTALDO.

Come si supponeva e si vedeva a distanza, guardandone il profilo sul colle, che in Toscana chiamano poggio, Certaldo è un borgo medievale praticamente intatto. La sua maggior fama  viene dal fatto che qui visse e riposa l’autore del Decamerone, ma l’importanza del borgo, già tappa della via Francigena, durò  nei quattro secoli successivi all’epoca di Giovanni Boccaccio, finché fu sede di Vicariato, vale a dire luogo dove veniva amministrata la giustizia per tutta la Val d’Elsa. Ne danno testimonianza gli stemmi araldici delle famiglie dei Vicari posti sul Palazzo Pretorio. Decidiamo di visitare questo palazzo per primo.

Ma nella corte antistante il palazzo diamo vita ad un altro dibattito, questa volta sull’eventualità di prenotare una camera in un agriturismo. Io non vedo l’ora di fare quest’esperienza, il mio compagno di viaggio è più scettico. Fortunatamente ci ascolta per caso un giovane toscano che si trova davanti al Palazzo Pretorio e interloquisce con noi per rassicurarci sulla bontà della scelta dell’agriturismo. Anzi telefona egli stesso alla proprietaria e così, almeno per questa sera, un  letto lo abbiamo rimediato facilmente. Il giovane è la guida del Palazzo Pretorio, si fa chiamare Fabio il Toscano strano e io trovo che in realtà non è strano, ma competente, mentre illustra a noi due soli la storia di Certaldo, del palazzo, delle famiglie dei Vicari, del significato dei loro stemmi, del loro modus operandi; condendo il tutto con riferimenti storici più ampi offerti con sagaci particolari. La sua descrizione, coinvolgente come uno spettacolo, gli fa ricevere da me l’appellativo, meritato, di Alessandro Barbero di Certaldo. Al che, per ringraziamento, Fabio si prostra in un inchino!

Prima dell’imbrunire giungiamo all’agriturismo, percorrendo una strada sterrata con poche indicazioni ( ma guarda che novità!) e che sembrerebbe non finire mai, ma questo è un bene, perché abbandoniamo i luoghi a maggior densità di popolazione per trovare un paradiso di tranquillità.

Non avendo mai frequentato agriturismi credevo che si trattasse di una soluzione un po’ spartana, invece il nostro alloggio è al secondo piano di uno dei casolari che compongono l’agriturismo, praticamente quasi sul tetto, ma pulito e ben arredato, in stile rustico moderno, fornito di ogni cosa, e dal terrazzino della nostra camera si  vedono il ristorante con la splendida piscina e l’incantevole paesaggio collinare.

Entrandovi, dopo aver salito due rampe di scale, già tormentata dal dubbio di aver sbagliato a non andare in albergo, nel bagno vedo un  animaletto verdastro, lungo un paio di centimetri, rannicchiato in un angolo del muro. Sembrerebbe una lucertolina, ma forse è un piccolo geco. La padrona e mio marito neanche se ne accorgono e io decido di rassegnarmi: in fondo siamo in campagna e, poi, anche in città mi sono trovata un geco sul balcone, ben più grosso, e io abito al decimo piano! Il geco mi guarda con due occhioni più grandi di lui, che lo fanno assomigliare a un cucciolo, a un bambino impaurito. Mi viene in mente di prenderlo con un pezzo di carta per farlo andare fuori dall’appartamento, per salvarlo, ma quando torno a cercarlo è sparito. Credo proprio che fosse un geco, perché so che hanno la capacità di infilarsi negli anfratti nascosti dei muri. Dormiremo tutti e due (io e il geco) più tranquilli. Ma, prima di dormire, nel silenzio della notte, inconsueto per noi cittadini, sul terrazzino posso abbandonarmi a contemplare le stelle, senza il disturbo delle luci e del rumore delle città.

Ed eccoci avviati verso la meta più ambita del nostro viaggio: Pienza, prima di raggiungere la quale sostiamo a Buonconvento, un borgo  medievale nel fondovalle, dove trovo una lapide messa dal Comune in ricordo del plebiscito del 1860 con cui gli abitanti scelsero – 698 su 717- di aderire “all’unione alla monarchia costituzionale” (del Piemonte).

Il mio compagno di viaggio, nonché di vita, è uno di quelli che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto e non riesce a godersi il presente essendo preoccupato per il domani. Mi ricorda molto la mia povera nonna che, da contadina timorosa, era solita invitare a non ridere troppo oggi perché “savuma nen  lon ch’an capita duman!”        

Così, per evitare patemi d’animo e conseguenti animati dibattiti, appena messo piede nel parcheggio di Pienza e visto il cartello pubblicitario di un albergo, mi affretto a telefonare (benedetto lo smartphone in certi casi!) e prenoto una camera, ma non la più economica, bensì una con vista sulla Val d’Orcia. Pienza val bene un piccolo sacrificio del portafogli.

E mai scelta fu più fruttuosa: l’albergo è raggiungibile con l’auto, per la quale ha il posto, ma è al limite della piccola città, affacciato sulla valle. Il panorama che si gode dal balconcino è magnifico e, pur se ci si trova in un centro abitato, la notte è silenziosa e si riesce a contemplare in pace il cielo stellato. E il mattino dopo ci alziamo presto, senza problemi,  proprio per ammirare il sole che sorge sulla valle.

Pienza è un gioiellino, voluto dal suo figlio più illustre: Enea Silvio Piccolomini, che diventò papa col nome di Pio II, da cui deriva il nome Pienza. Il borgo esisteva già sotto un altro nome, ma egli lo fece trasformare nella città ideale,  secondo i canoni rinascimentali, dall’architetto Rossellino, che seguiva gli insegnamenti di Leon Battista Alberti. Il risultato è una città  piccola, ma ricca di monumenti, in particolare il palazzo Piccolomini e la Cattedrale, disposti sulla piazza trapezoidale, che l’hanno resa degna di diventare Sito Unesco. Ma, oltre ad ammirare chiese e palazzi, bello è addentrarsi nelle sue viuzze, dagli indimenticabili  scorci e dalle case di pietra che sono un tutt’uno con il panorama caratteristico della Toscana, fatto di cipressi, ulivi e campi color “terra di Siena”.

Vicino a Pienza visitiamo Montalcino e Montepulciano, noti, oltre che per la storia e i monumenti, per i vini conosciuti in tutto il mondo, ed ambedue con famosi luoghi di culto nei dintorni, rispettivamente l’abazia di Sant’Antimo e la chiesa di San Biagio.              San Biagio è un tempio del 1500, progettato da Antonio da Sangallo nel luogo dove sorgeva una pieve paleocristiana. Sant’Antimo è un’abazia romanica con annesso monastero circondato da cipressi, vigneti ed ulivi secolari, dove , percorrendo una strada tortuosa, riusciamo ad arrivare poco prima che chiuda, per fortuna.

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Le chiese romaniche sono le mie preferite, al pari di quelle gotiche. Ma mentre quelle gotiche, che aspiravano ad elevare lo spirito verso Dio, suscitano lo stupore per l’arditezza e la maestosità, mi pare che nelle pievi e nelle abbazie romaniche il raccoglimento meditativo sia più favorito dall’austera semplicità. Fatta quest’immersione nel Medioevo,  in sovrapprezzo riusciamo anche a godere di un infuocato tramonto dalla fortezza di Montalcino. Impossibile rendere a parole la bellezza dei posti. Trovate alcune foto sulla mia pagina Facebook o su Instagram,dove sono picci_teacher , lo sapete già.

Quante chiese è costretto a sorbirsi il mio povero miscredente compagno! Ma si entusiasma, come me, davanti a tante opere d’arte. Scopriamo che esiste l’abazia benedettina di Monte Oliveto Maggiore, a sud est di Siena, e la raggiungiamo, trovandola su una strada secondaria, ben nascosta in mezzo alla boscaglia.

Poi, grazie ad una indicazione stradale un po’ dubbia (che strano …), ma anche per non rifare il percorso dell’andata, percorriamo la strada di cresta sulle colline per tornare a nord. Una strada in alcuni punti molto stretta e con una forte pendenza che pare troppo lunga all’autista, perennemente preoccupato di non trovar posto per dormire. A me, invece, appare meravigliosa: poco frequentata, immersa nelle crete senesi. Un paesaggio a volte lunare, in cui sembra di essere distantissimi dal mondo caotico in cui viviamo. Capisco perché molti stranieri continuino a prediligere la Toscana per le vacanze in Italia!

E di stranieri nella nostra tappa successiva ne troviamo molti: Francesi, Tedeschi e, soprattutto, Americani. Dove siamo? Riuscite a indovinare se vi dico che viene chiamata la città dalle cento torri? La soluzione alla prossima puntata.

 

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Giulietta in Toscana 2ultima modifica: 2020-10-07T16:55:16+02:00da picci-teacher
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