L’abito fa il monaco ?

di Annalisa Rabagliati
 

 

Il vagone ballava da far paura. Normale, visto che era l’ultimo del convoglio, ma l’irrazionalità stava per prevalere. Improvvisamente il vagone si staccava con un rumore simile ad un’esplosione e precipitava in un burrone, il treno deragliava, poi lo scontro con un merci, le lamiere accartocciate, i passeggeri sterminati …quanti disastri riusciva ad immaginare!

E pensare che credeva che avrebbe avuto paura del viaggio in aereo! Invece il volo era stato così tranquillo che le era parso che l’aereo fosse fermo, mentre il treno, mezzo di cui non aveva mai avuto timore, andava velocissimo, facendo un baccano incredibile  e la sua apprensione saliva di pari passo.

Inutile cercare negli sguardi degli altri viaggiatori solidarietà o condivisione delle stesse emozioni: ognuno era immerso nella propria solitudine, sonnecchiando o ascoltando musica con gli auricolari e i pochi che parlavano tra di  loro lo facevano ad un volume così basso da rendere la conversazione  incomprensibile agli altri. Stranieri! Fossero stati Italiani quei ragazzi avrebbero fatto certo una cagnara e gli adulti avrebbero attaccato bottone con qualche  sconosciuto…Meglio così: le dava fastidio dover ascoltare chiacchiere imposte. Però scambiare quattro parole non sarebbe stato un gran male, l’avrebbe aiutata a tranquillizzarsi e a non sussultare dentro di sé ad ogni sobbalzo.

Clara si impose di star calma e di pensare a qualcos’altro, per togliere l’ansia dalla mente. Ad esempio poteva pensare ai motivi per cui era venuta in questo Paese così lontano, per effettuare uno stage tra insegnanti che le avrebbe procurato  se non soddisfazioni, qualche nozione in più, ciò che  a lei bastava , perché amava conoscere cose nuove . 

Indossava uno smilzo tailleur pied-de-poule grigio e decolletées a tacco medio, una tenuta che aveva scelto per dare un’immagine di professionalità, visto che, contrariamente a quel che si dice, l’abito fa il monaco. Avrebbe voluto aggiungere un filo di perle o un girocollo dorato, il massimo della finezza, ma temeva di apparire più vecchia dei suoi quarantasei anni ben portati.

Il flusso dei suoi pensieri di autocompiacimento fu interrotto dall’ingresso nello scompartimento di un punk poco più che ventenne dall’aspetto spaventoso: le braccia e il collo tatuati, piercing su naso, orecchie e sopracciglia, i capelli in parte rasati e in parte a cresta come l’ultimo dei Mohicani, pantaloni a vita bassissima e, di conseguenza,  cavallo alle ginocchia…in breve, la quintessenza dello spostato moderno, l’immagine di tutto ciò che lei, onesta benpensante, ancorché politicamente corretta, aborriva.

Il ragazzo barcollava più vistosamente del treno e aveva lo sguardo perso e vuoto, tuttavia era in cerca di un posto e naturalmente lo trovò, c’era da aspettarselo, proprio vicino a lei. Si accasciò di peso nel sedile accanto al suo e allungò le gambe che calzavano  anfibi scalcagnati su quello di fronte.

Una cosa è certa: Clara per un po’ non pensò più ai movimenti del vagone, ma alla sfortuna di avere come vicino di posto un individuo simile! Se lo avesse incontrato di notte sarebbe certo morta di paura, ma anche averlo accanto sul treno era un’esperienza inquietante. Provava ribrezzo per lui e si chiedeva come ci si potesse ridurre così, per moda, in spregio al proprio corpo: forarsi, ricoprirsi di tatuaggi, imbottirsi di droga…perché sicuramente era fatto, anzi strafatto e puzzava anche di tabacco ed alcool . E lei, poveretta, doveva goderselo per tutta la rimanenza del viaggio? Ma come faceva ad andarsene senza fare brutta figura, senza sembrare razzista o cose simili? Stava cercando una soluzione per una via di fuga onorevole quando il Mohicano le rivolse la parola:

“Scusi, ha un’aspirina?” le chiese in Francese, una lingua che lei conosceva bene.

“No, mi spiace- rispose lei- ma, aspetti, dovrei avere un Aulin, va bene lo stesso?”

Lui disse di sì, lei cercò l’analgesico nella borsa e glielo porse.

“Però va preso con l’acqua e io non ne ho” gli disse.

Il Mohicano prese la bustina e scomparve.

Clara vedendolo andar via provò un gran sollievo, ma il punk tornò quasi subito, si risistemò al posto accanto al suo e, inaspettatamente, le chiese:

“ Se mi addormento, le dispiacerebbe controllare che mi risvegli?”

Naturalmente lei acconsentì e il ragazzo chiuse gli occhi tranquillamente. Durante il tragitto Clara si trovò a chiedersi quali problemi di salute il Mohicano potesse avere. Lo guardò di sfuggita, senza fissarlo: il punk aveva un’espressione ingenua, quasi infantile, nel sonno. Anche un individuo tanto ripugnante era stato bambino. Chissà cosa pensava sua madre del fatto che si era ridotto così? Ma lo sapeva, poi? Era ancora viva?  Come avrebbe reagito  lei se fosse stata sua madre? E chissà lui quante ne aveva passate per arrivare a trovarsi in quello stato! Sarà stato contento del proprio aspetto? Ovviamente sì, ma della sua vita? Ma che ne sapeva lei, della vita degli altri? Era forse del tutto contenta della propria? E chiunque è soddisfatto della propria vita? O piuttosto, tira a campare? Ma cosa vuol dire essere soddisfatti e contenti…

Era così assorta nei propri dubbi che per poco non le era sfuggito l’annuncio dell’arrivo alla località in cui doveva cambiare treno. Si alzò, raccolse le sue cose e si accinse a  scendere, ma le venne lo scrupolo di  mantenere la promessa fatta al Mohicano, così disse ai passeggeri seduti dietro di lui di dargli un’occhiata. Mentre lei si avviava allo sportello il ragazzo aprì gli occhi, le tese la mano e le rivolse un inatteso: “Grazie!”

La donna scese. La stazione era deserta: non un’anima, non un treno. Sarebbe passato di lì quello che doveva prendere? A che ora? Non un cartello che indicasse arrivi e partenze. Sarà stata davvero quella la stazione in cui doveva cambiare? Clara cominciava a dubitarne. Meglio chiedere. Forse  qualcuno c’era. Erano solo le otto, ma a quella latitudine e in quella sera d’ottobre, la notte era già calata, gelida e buia. La stazione era illuminata da pochi lampioni. Clara si strinse nel giaccone e scrutò tutto intorno: nessuno! Cercò con lo sguardo se ci fosse un ufficio, una finestra dalla luce accesa, ma vide solo porte sbarrate e, su una di esse, scorse un cartello in cui si avvisava che durante il periodo invernale la stazione sarebbe stata chiusa nelle ore notturne e che gli uffici avrebbero riaperto solo al mattino. Problemi di riduzione dei costi!

Così Clara si ritrovò  sola, in un Paese straniero, senza nessuno cui chiedere un’informazione, senza sapere come avrebbe fatto a raggiungere la sua destinazione e, soprattutto, con davanti a lei una notte fredda da passare all’aperto! Ma non era tipo da arrendersi alla prima difficoltà: aveva il suo telefonino e avrebbe chiesto soccorso ai suoi contatti, alla polizia,  all’ambasciata italiana…Tirò fuori il cellulare e fece per comporre un numero, ma ecco la seconda difficoltà: spento, scarico, morto! Il telefonino non dava segno di vita: la pila  era esaurita!  Maledizione e adesso? Non serviva rimpiangere di non avere un ricarica batterie , altrettanto  inutile  ripromettersi di seguire il consiglio del marito di portarne uno, la prossima volta. Che cosa sarebbe potuto succederle “questa” volta?

Doveva trovare una soluzione e doveva impedirsi di pensare al peggio, doveva essere ottimista e fiduciosa e, nel frattempo, cercare un angolino riparato dal vento freddo che cominciava ad infastidirla sempre di più. Trovò una panca sotto una pensilina e vi si rannicchiò. Ricominciò a formulare i suoi pensieri più lugubri, a maledire il giorno in cui aveva deciso di andare fin  lì da sola. Eh sì, perché a lei piaceva far le cose da sola, senza l’aiuto di un’amica, voleva sempre mostrarsi indipendente e intraprendente, lei! Invece se fossero state  in due.. ma no, anche in due ci sarebbe stato lo stesso problema … magari meno gigantesco, però. Almeno avrebbero potuto aspettare il mattino in compagnia e, chissà, in seguito avrebbero ricordato quell’avventura  ridendo, in una serata tra amici. Per ora, invece, non c’era niente da ridere. Stava lì, al freddo, immersa nei suoi rimpianti e forse era perfino meglio essere sola, che in balia di qualche sconosciuto, in pericolo di subire cose che non voleva neppure pensare.

Proprio mentre stava enumerando i guai cui sarebbe potuta andare incontro  vide delle figure in lontananza e il cuore le iniziò a battere velocemente. Forse erano dei ferrovieri!

 Ma la speranza fu presto delusa, perché, nonostante la scarsa illuminazione dei  lampioni troppo  alti, a mano a mano che le figure procedevano verso di lei, Clara poteva distinguere che erano tre uomini e che avevano un incedere trasandato e un aspetto molto diverso da persone in divisa.

Oddio, chi erano? Che cosa volevano da lei? Che cosa avrebbero fatto? Che cosa poteva fare? Vide che a pochi passi dalla sua panchina vi era l’ingresso di una scala per un sottopasso.

Non sapeva se stare immobile, fingendo indifferenza per non aizzare gli eventuali malviventi o alzarsi e infilarvisi di corsa. Ma scappando, se non fossero stati malviventi, come sarebbe stata ridicola! Si disse che avrebbe aspettato di vederli meglio e si sarebbe regolata di conseguenza. Già, ma se poi non ne avesse più avuto il tempo? Ecco, si avvicinavano sempre di più, ora erano ben visibili ed erano….mostruosi! Tutti tatuati, con capelli a cresta, pieni di borchie … praticamente la copia conforme del punk sul treno! Decise che doveva fuggire, scendere nel sottopasso, correre all’impazzata per non farsi raggiungere, ma loro erano in tre, più giovani e veloci e riuscivano a  prenderla: uno le saltava addosso per rubarle la borsa, un altro aveva un coltello spuntato da chissà dove, il terzo si metteva a ridere in modo volgare mentre i primi due le strappavano gli abiti per abusare di lei . Uno l’apostrofò bruscamente distogliendola dalle  fantasticherie che l’avevano pietrificata:

_Madame- disse- lei forse è scesa a questa stazione per prendere la coincidenza per Namur, n’est-ce pas?

_Questa stazione è chiusa e non ci sono informazioni, ma non si preoccupi, tra poco arriverà il suo  treno  e potrà salire.-aggiunse un altro.

_ Sarebbe dovuta scendere alla fermata dopo questa. Il  treno si ferma anche qui, ma l’altra  era quella giusta e avrebbe trovato tutte le informazioni necessarie.-spiegò il terzo.

_Purtroppo gli avvisi sul treno sono dati spesso in Fiammingo o in dialetto vallone  e a volte non si capiscono.-riprese il primo.

Clara non credeva ai propri orecchi. Sbalordita e ancora un po’ titubante cercò di chiedere:

_Ma..ma..ma voi… come sapete che io…

_ Hervé ha visto dove lei è scesa. Dapprima non ci ha badato, ma poi ha capito che lo ha fatto alla fermata sbagliata perché non poteva andare che a Huy, dove c’è il collegio universitario.

_ Allora Hervé ci ha telefonato perché le dessimo una mano.

_ Quando l’ha notata, così per bene, così gentile, Hervé ha pensato a sua madre….

_ E si è chiesto che cosa sarebbe potuto succedere  a sua madre in una  situazione simile e ha deciso di intervenire.

_Siamo corsi subito, chissà che brutti incontri avrebbe potuto fare in una stazione chiusa, in una notte come questa…

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L’abito fa il monaco ?ultima modifica: 2016-11-17T18:33:58+01:00da picci-teacher
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