Il cervo

di Annalisa Rabagliati
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_ Il pianoro adagiato sotto la montagna era bianco di neve. Non c’erano sciatori che praticassero il fondo, forse erano tutti a pranzo in qualche trattoria. Il silenzio era perfetto. L’aria era tersa, la temperatura fredda, ma sopportabile, il cielo senza una nuvola. Il profumo umido della neve mi ricordava emozioni dimenticate da tempo. Aspirai a fondo quella freschezza, facendo scorrere lo sguardo sulla distesa innevata. E ad un tratto mi si parò dinnanzi un’immagine inattesa. Ad una distanza di una decina di metri uno splendido cervo, un esemplare maschio, con un enorme palco di corna portato con aria regale, guardava nella mia direzione.

Ero solo e l’animale mi fissava, ma non sembrava impaurito, stava immobile, in attesa. Non sapevo che fare: certo il cervo mi considerava un intruso e forse aspettava che me ne andassi, ma io avevo paura, muovendomi, di rovinare quell’atmosfera rarefatta. Lo osservai meglio, rimanendo a mia volta immobile. Il cervo continuava a guardarmi, ma il suo non era uno sguardo di sfida, sembrava piuttosto che volesse comunicare con me. Mi dissi che forse si era avvicinato agli umani in cerca di cibo e iniziai a pensare ad un piano per procurargliene. Ma quella insistenza non pareva dovuta solo a fame arretrata e, di colpo, fui folgorato da un’idea: l’animale mi aveva riconosciuto!

_Ma non mi racconti storie!- interruppe la ragazza – Come può saperlo?
_Perché anch’io lo riconobbi! Avevo già visto quello sguardo fiero, quegli occhi da cerbiatto, belli come quelli che ha lei!- replicò il cacciatore.
_Adesso ho capito! Mi ha fatto venire fin qui per raccontarmi una storia strampalata, al solo scopo di farmi cambiare idea su di lei!
_No!-si difese l’uomo- Non per questo, cioè sì, vorrei che lei cambiasse idea su di me, ma la storia che le racconto non è un espediente e non è inventata!
_E io dovrei crederle sulla parola? Perché non lo ha fotografato, se era così vicino?
_Perché non feci in tempo. Frugai in tasca alla ricerca del cellulare per farlo e preparai l’apparecchio cercando di ridurre al minimo i miei movimenti, ma fu tutto inutile: quando risollevai il capo il cervo era sparito.
_Va bene,- replicò lei- adesso che mi ha raccontato quello che voleva posso anche andarmene: la strada che ho da fare è lunga -Sollevò il bavero del giaccone, si calcò la fascia sulla fronte e si diresse verso la cassa del bar.

Bruno guardò la ragazza deluso, accarezzò con lo sguardo il suo caschetto di capelli castani, si soffermò sulla sua figura snella, morbida nei punti giusti e, in un attimo, decise:
_No, aspetti! Non se ne vada, non faccia come l’altra volta.. Resti, per favore!- disse, trattenendola per la manica.

Lei esitò un attimo, lui aveva abbassato gli occhi, un po’ vergognoso. Bianca lo osservò e non poté fare a meno di pensare a com’era cambiato rispetto a quando lo aveva conosciuto: più ciocche grigie nei capelli, barba rada e incolta sulle guance scavate, mal vestito e dimagrito, forse più alto di come lo ricordava. Ma soprattutto aveva un’aria più schiva ed un atteggiamento diverso. Le ispirava un po’ di pietà e accettò di fermarsi, anche perché aver fatto tanti chilometri per andarsene subito da quel posto incantevole era obiettivamente stupido. Uscirono insieme dal caffè.

La primavera in montagna tardava ad arrivare, ma c’erano già tutti i segni: in alcuni punti la neve si stava sciogliendo e le primule e le violette si facevano ammirare sulle sponde del torrente. Qualche nuvola di tanto in tanto nascondeva il sole splendente sulle vette che incoronavano il pianoro. Bianca ascoltava il canto degli uccellini e respirando l’aria pulita pensava che vivere sempre in quel posto doveva essere come stare in Paradiso. Invidiò chi, come il cacciatore, poteva farlo, magari ritenendosi meno fortunato dei turisti cittadini.

Non aveva intenzione di essere tenera con lui: _Deve ancora spiegarmi perché mi ha cercata per farmi venire qui. – disse- Il vero motivo, intendo.
Bruno non si scompose e, di rimando, chiese: _E lei, perché ha accettato subito? Non mi odiava, forse? Come mai si è precipitata? Onestamente, non credevo che sarei riuscito a riportarla qui.
_Non sono venuta per rivedere lei, ma questo posto, che è ancora più bello di come lo ricordavo. Non ho molte occasioni di venire in montagna in un ambiente così poco frequentato e selvatico ed è proprio per questo che ho accettato l’invito. E poi mi ha fatto sapere che doveva dirmi qualcosa di tremendamente importante…la storia del cervo di prima?
_Sì, devo farle sapere qualcosa, ma non sono capace di tante parole adesso. È meglio se prima camminiamo un po’, venga.

Si avviarono sul sentiero che costeggiava il torrente. Bianca seguì il cacciatore senza alcun timore, in fondo non era con uno sconosciuto e poi lei aveva detto a tutti dove sarebbe andata e tra i clienti del caffè c’erano pure due carabinieri della locale stazione. Poteva fidarsi, dunque. Ma che cosa stava pensando? Non si stava mica avventurando con un bruto in una landa desolata! E, in realtà, quel bruto aveva sognato tante volte di rivederlo…forse aveva sognato più di rivedere lui che quel posto incantato.

Ricordava il giorno in cui lo aveva conosciuto, durante uno stage di lavoro per un progetto transfrontaliero sulle feste rituali della montagna. Era rimasta affascinata dalla capacità di Bruno di parlare dell’argomento: leggende, miti, la luna, il carnevale, orsi, capre, uomini selvaggi, arlecchini, vecchie, “barbuire”, simboli apotropaici….non c’erano segreti per lui. Conosceva vecchi proverbi, canti popolari, tradizioni e riti ancestrali e riusciva a renderli vivi con la descrizione puntuale e il commento arguto. Sapeva ricollocare ogni particolare in un ordine logico e collegare espressioni della sapienza antica ad un livello più alto di conoscenze antropologiche. E adesso diceva di non essere tipo da tante parole! Peccato che dopo aver suscitato quell’entusiasmo iniziale Bruno l’avesse tanto sconcertata!

Bruno camminava più adagio del solito davanti a Bianca, non potendo tenere il suo solito passo, perché lei non era una montanara. Il cacciatore aveva tutto il tempo per riflettere, per trovare il modo di dirle che non dovevano più essere nemici, che lui era cambiato, ma non poteva farlo così, con precipitazione, se voleva ottenere un risultato. Voleva riconquistare la sua ammirazione. E lo voleva perché si era accorto quella volta, quando il suo amico professore aveva organizzato lo stage, che di tutti gli insegnanti presenti Bianca era la persona più partecipe, la più appassionata, quella che lo seguiva con più attenzione, che lo ascoltava rapita e lo ammirava per le sue conoscenze! Lei lo aveva fatto sentire importante, altro che un montanaro cacciatore ignorante come credeva di apparire!

Bruno era stato felice per il fatto che questa ammirazione provenisse da una ragazza di città, una di quelle persone che lui, come facevano quasi tutti i suoi compaesani, in parte invidiava e in parte disprezzava, perché i cittadini avevano una vita più colta, più varia, più comoda, ma certo non sarebbero stati capaci di sopravvivere una stagione senza avere lo stipendio fisso, senza saper fare niente di manuale, in una casa come la sua.

La sua casa! Ecco l’errore, aver portato a casa il gruppo di insegnanti, aver mostrato loro la realtà della sua vita, la modestia della sua abitazione e la ricchezza della sua collezione di armi e di trofei!
Tutti gli avevano rivolto un sacco di complimenti per lo chalet che aveva costruito con le sue mani, anche Bianca, ma quando erano entrati nella stanza dei trofei, mentre alcuni si erano profusi in parole di approvazione e altri erano ammutoliti per lo stupore, lei era esplosa in una collera improvvisa ed era uscita di corsa, senza farsi più vedere.

Bianca ripensava al momento in cui era andata con il gruppo di colleghi a casa del cacciatore. Lo chalet si trovava distante dalle altre case del borgo, in fondo al pianoro, in un punto da cui si potevano ammirare le cime circostanti e la valle che si protendeva verso le gole che fungevano quasi da confine col mondo più popolato dell’altopiano.

Il loro ospite era orgoglioso di aver costruito da sé la propria abitazione , di saper tenere l’orto e far crescere i fiori che abbellivano la facciata d’ingresso. Bianca aveva notato che si dava forse un po’ troppa importanza per ciò che sapeva fare e che esagerava nel ritenere superiore tutto quello che vi era lì di genuino, paragonato alla mancata autenticità che si trovava altrove. Le era parso che vi fosse in lui un briciolo di supponenza che cominciava a darle fastidio. E dopo essere entrati nella sala principale questo fastidio si era trasformato in sgomento!

Appese alle pareti vi erano una ventina di teste di animali selvatici incorniciate come trofei: cinghiali, caprioli, daini e altri ungulati…vi erano rapaci e piccoli mammiferi impagliati sui mobili , un enorme cervo che troneggiava in mezzo alla stanza e, in un angolo, in una vetrina chiusa a chiave, una piccola mostra di fucili di vario calibro. Era troppo! Bianca aveva urlato qualcosa ed era scappata via. Era corsa giù lungo il sentiero per raggiungere l’auto con cui erano arrivati ed aveva aspettato i suoi colleghi ed il professore.

Naturalmente con il capo stage aveva avuto poi una bella discussione. Lui aveva sostenuto che tutto, compreso il maltrattamento di animali durante la riproposta di feste pagane, rientrava nella rievocazione della normale vita di una volta e che lei, prendendo parte ad un progetto che studiava le antiche tradizioni, doveva accettare che si perpetuassero. Lei aveva replicato che nel duemila non era il caso di esaltare tout court le antiche usanze, ripetendole alla lettera, ma si doveva studiare il passato tenendo conto dei progressi della civiltà, soprattutto quelli compiuti nel rispetto di ogni forma di vita, umana o animale che fosse. I colleghi apertamente non si erano schierati con lei, ma erano poi venuti a dirle, di nascosto, che aveva ragione. Lo stage per fortuna era finito e lei aveva continuato il proprio lavoro da sola, avendo il minimo possibile di contatti con il capo progetto.

Bruno ricordava quello che gli aveva raccontato l’amico professore dopo l’episodio della fuga di Bianca: che lei gli aveva rivolto una filippica animalista contro la caccia, che era una borghesuccia capricciosa disinteressata all’argomento del progetto e che, non trovando nessuno che la pensasse come lei, aveva lasciato il gruppo per lavorare da sola dopo aver discusso con tutti.
Ma le affermazioni del professore non erano servite ad influenzare il giudizio di Bruno sulla ragazza, anzi, gli avevano instillato i primi dubbi sulle proprie certezze ed avevano fatto nascere in lui l’ammirazione per una persona che non aveva avuto paura di mettersi contro tutti per difendere apertamente le proprie idee.

Bianca si accorse che stavano a poco a poco avvicinandosi allo chalet e, per placare l’ansia, chiese al cacciatore:
_Allora, quando saprò il motivo per cui mi ha cercata?
L’uomo si fermò e disse:
_ Qualche giorno fa, mentre tornavo dal mercato con la mia jeep, un cerbiatto si è buttato dalla scarpata alla mia sinistra e mi è passato davanti alla macchina. Per fortuna andavo adagio e non l’ho investito. Il cerbiatto non ha avuto paura di andare per la sua strada, ha attraversato anche se io stavo arrivando ed è scomparso. Ho pensato a lei. Mi era rimasto impresso il suo coraggio nell’andare contro il pensiero corrente senza essere compiacente e finta come gli altri. Lei mi aveva colpito.

Sono libero e non devo giustificare le mie scelte con nessuno, ma ho pensato che avrei potuto raccontare solo a lei una cosa che è successa un po’ di tempo dopo il nostro incontro e che ha cambiato la mia vita. Avevo già iniziato stamattina, ma lei mi ha interrotto…. Sono passati pochi anni da quando ci siamo conosciuti, ma io sono cambiato. Se volesse venire a casa mia , capirà subito in che modo.

_No, grazie, non voglio ripetere quell’esperienza.
_Le ho detto che tutto è diverso: se viene vedrà che non ci sono più né gli animali impagliati, né i fucili.
_E che cosa ne ha fatto? – chiese Bianca incredula.
_Gli animali li ho dati al museo naturalistico, i fucili li ho venduti.
_Ma come ? Non era un cacciatore? E cosa fa per vivere?
Bruno si strinse nelle spalle:
_Non lo sono più. Faccio la guida ai turisti…intaglio il legno…vendo formaggi… vivo.

L’aria cominciava ad essere un po’ fredda e questo convinse la ragazza ad andare allo chalet, nonostante la diffidenza. Quando fu dentro rimase meravigliata: come il cacciatore aveva detto non vi era più traccia di animali impagliati, né di trofei o armi. La sala ora appariva come una tipica cucina di montagna, con un lungo tavolo dalla tovaglia a quadretti e due panche accanto al camino e un letto dalle sponde di ferro decorate, come quello delle nonne. Si percepiva un profumo di minestra misto a odori di erbe spontanee e Bianca si accorse che c’era una marmitta sulla stufa accesa accanto alla credenza.

_Venga, – la invitò Bruno- davanti ad una zuppa calda si parla meglio.
Mangiando e bevendo un goccio di vino Bruno si fece coraggio e iniziò a raccontare a Bianca la propria vita.
_Non sono sempre stato un povero montanaro rozzo e ignorante, ho studiato ed ho vissuto a lungo in città. Avevo anche un buon lavoro, con un buon stipendio, ma quello che non sopportavo era di stare sempre al chiuso o di respirare aria inquinata. Avevo bisogno di grandi spazi aperti: la montagna mi aveva sempre affascinato fin da quando, bambino, tornavo qui, nel mio paese di origine.

Avevo sempre ritenuto che andare a caccia fosse un aspetto dell’amore per la natura. Ogni volta che potevo mi dedicavo a quello che consideravo uno sport per uomini veri: alzarmi nel cuore della notte per trovarmi all’alba in un bosco deserto, respirare il profumo umido del terreno, camminare cauto, cercando di non fare rumore nel calpestare foglie e rametti. Avevo iniziato la mia, per così dire, “carriera” cacciando fringuelli, allodole e quaglie. Mi acquattavo dietro un cespuglio e restavo in silenzio, in attesa.

Ascoltavo i cinguettii e i richiami dei volatili e scrutavo tra le foglie i loro movimenti. Era una sfida per me restare immobile, quasi trattenendo il respiro e sperare che, fidando nel silenzio, gli uccelli mi credessero andato altrove. Mi dava una scossa di adrenalina riuscire a coglierli mentre volavano da un ramo all’altro pensando di avermela fatta.
Ma dopo qualche tempo questa caccia solitaria non mi diede più soddisfazione e cercai di condividere la mia passione. Trovai nel mio giro di amici altri cacciatori che, come me, amavano alzarsi presto per assaporare il gusto del contatto con la natura.

_La smetta di parlare della natura! Parla sempre di amore per la natura e non pensa che la stava distruggendo! Ne ho abbastanza di ascoltarla! –esclamò Bianca alzandosi.
_No, la prego-implorò l’uomo- non capisce che la mia è una confessione? A chi altro potrei rivolgerla se non a lei? Non la penso più così. Mi ascolti e capirà perché sono cambiato…
Bianca si sedette, sforzandosi di trattenere la sua indignazione.

Lui continuò: _Eravamo insensibili. Ridevamo insieme di quelli come lei, che dicevano che se ami la natura non uccidi gli animali. Pensavamo che gli animali sono furbi e quelli grossi persino cattivi e maliziosi, ma pur sempre una razza inferiore che l’uomo può trattare come vuole…per farla breve, organizzavamo battute di caccia in cui ci trovavamo in gruppi di sette o più e ci aprivamo a ventaglio per circondare la preda designata. Con questo sistema ne abbiamo prese tante, come dimostravano i miei trofei…

_Ma come poteva esserne orgoglioso invece di vergognarsi? Io rispetto le idee altrui, ma mi domando come faceva a non capire il male fatto a degli esseri senzienti!
_Avevo sempre attribuito agli animali comportamenti dettati unicamente dall’istinto, e li trattavo come una specie , senza riconoscere loro di essere individui, come noi. Ma è accaduto qualcosa che mi ha convinto del contrario.

Bianca lo seguì con più attenzione.
_Un mattino, dopo la solita manovra a ventaglio, mi ritrovai da solo faccia a faccia con un cervo adulto e robusto , che eravamo riusciti ad isolare vicino ad una parete rocciosa. I miei amici erano distanti e la preda apparteneva solo a me. Imbracciavo il fucile e il cervo era a pochi metri, cioè così vicino che non potevo mancarlo. Potevo vedere la sua figura maestosa, potevo guardarlo negli occhi e sfidare la sua fierezza. Il cervo capì di non aver scampo. Il suo comportamento divenne quasi umano e, lo giuro, vidi due grosse lacrime scendergli dagli occhi lungo il muso. Abbassai il fucile e il capo, non ebbi il coraggio di sostenere il suo sguardo rassegnato. Quando rialzai la testa il cervo era sparito.
Tornando a casa dovetti sopportare lo scherno degli amici, ma non me ne importava nulla. Ero rimasto talmente turbato che decisi di rinunciare per sempre a togliere la vita ad un altro essere.

Anche gli occhi da cerbiatta di Bianca si inumidirono di lacrime. Bruno si avvicinò e lei lo abbracciò. Lui la baciò con tenerezza, mentre con una mano ruvida cercava la sua pelle “cittadina”. Bianca si abbandonò al desiderio dell’uomo.

Si destarono abbracciati. Rimasero in silenzio a lungo, appagati. Poi Bruno disse:
_ È da tanto che non ero così felice. Non avrei mai pensato di esserlo con qualcuno così diverso da me.
_Anch’io ho provato sensazioni che non credevo possibili. Felicità, serenità, pace …
_Resta a vivere qui con me, – propose Bruno- penso che potremo completarci a vicenda, incastrare le nostre differenze…

Bianca, sorridendo con dolcezza, rispose:
_Non siamo poi così diversi. Abbiamo fatto tutti e due una scelta di indipendenza, ecco perché abbiamo provato questa gioia immensa nel dipendere l’uno dall’altra per qualche momento.
Sai, ho capito una cosa: il cervo che avevi risparmiato è proprio quello che ti guardava nel pianoro. Voleva mostrarti la sua riconoscenza, ma sapeva che se si fosse avvicinato troppo, se si fosse lasciato toccare, la sua vita autentica sarebbe finita. Non sarebbe più stato accettato dai suoi simili. Ti era grato, ma ha scelto di continuare a vivere in libertà.

Io sono uno spirito libero come lui, come te. Noi due siamo spiriti liberi e se ci mettessimo insieme, ci chiuderemmo in una gabbia. Ti sarò eternamente grata per avermi fatta partecipe della tua metamorfosi, ma è meglio che ti lasci alla tua natura selvaggia.
Ora devo andare, – concluse alzandosi – voglio tornare a casa prima che faccia buio e i miei gatti mi aspettano.

Bruno annuì, nascondendo la disillusione. Si rivestirono e lui l’accompagnò alla porta. Sulla soglia le diede un bacio di saluto. Bianca imboccò in fretta il sentiero per tornare a recuperare l’auto, ma, fatta una decina di metri, si arrestò e si girò. I suoi occhi da cerbiatta rivolsero a Bruno un lungo sguardo riconoscente.

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Il cervoultima modifica: 2017-02-17T23:31:56+01:00da picci-teacher
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