Con il Coro in Albania

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di  Annalisa Rabagliati

Solitamente quando pensiamo agli Albanesi noi Italiani autoctoni  abbiamo in mente l’immagine di una nave stracolma di uomini, ammassati ovunque, anche seduti sul parapetto della stessa o abbarbicati fin sull’albero maestro, che affrontano la traversata del canale d’Otranto per giungere in Italia, il Paese di Bengodi di cui hanno visto le immagini sulla nostra televisione nazionale. La foto risale al 1991, qualche tempo dopo la caduta del muro di Berlino e il successivo crollo dei regimi comunisti. A quell’epoca l’Italia, così vicina all’Albania , separata solo da un tratto di mare, era il Paese occidentale più a portata di mano, più facile da raggiungere, per riuscire a conquistare un po’ di quel benessere considerato al pari di un miraggio.

A distanza di quasi trent’anni la situazione si è normalizzata: molti Albanesi vivono in mezzo a noi e si sono integrati, i loro figli vanno a scuola con i nostri e parlano la nostra lingua senza neppure la minima inflessione straniera e quasi nessuno di loro vorrebbe lasciare l’Italia, considerandola il proprio Paese. Per gli adulti forse è diverso, la nostalgia che un immigrato prova per il luogo in cui è nato è sicuramente la stessa che provarono i nostri emigranti quando dovettero trasferirsi lontano per trovare lavoro:  sta bene nel posto che lo ha accolto, ha potuto rifarsi una vita, ma rimpiangerà sempre di essersene dovuto andar via dalla sua casa, dai suoi affetti.

Ma noi che abbiamo avuto la fortuna di non dover cercare lavoro all’estero nutriamo spesso dei preconcetti, dovuti all’abitudine, purtroppo diffusa, di generalizzare il comportamento di un singolo, estendendolo a tutti i suoi compatrioti.

Nel coro in cui canto vi è tra i soprani un’Albanese che, come tante altre sue connazionali, ha trovato lavoro in Italia come badante, un mestiere che, probabilmente, nessuna Italiana esercita. In realtà la nostra corista è diplomata al Conservatorio di Tirana, ma i titoli conseguiti in paesi dell’Est prima di alcuni anni fa non hanno  valore legale da noi e così, come molti altri immigrati, ha dovuto adattarsi ad  una sottooccupazione. Lei però è una persona sempre allegra e disponibile e riceve un po’ di gratificazione personale cantando in tre cori diversi, mettendoci impegno e ricevendo in cambio l’amicizia e l’affetto degli altri coristi.

Il nostro coro da molti anni compie trasferte all’estero, invitato da cori stranieri per uno scambio  corale oppure per partecipare a rassegne internazionali. La nostra prima esibizione all’estero fu nel 1990 a Parigi, cui  seguirono molte altre in vari Paesi europei e perfino a New York, in Giappone e due volte a Mosca. Quest’anno al momento di decidere la meta per una trasferta all’estero, è stato naturale per il Consiglio accettare la proposta di Lili di andare nel suo Paese d’origine, l’Albania.

Quale migliore occasione di questa per noi del Coro per scrollare dalla mente ogni stereotipo? E quale migliore occasione per la nostra amica per poterci offrire l’opportunità di conoscere davvero la realtà di un Paese così vicino, ma ai più ignoto?

Lei  si è data da fare subito, contattando alcuni suoi amici giornalisti che vivono a Tirana ed organizzandoci un soggiorno molto piacevole, dandoci un assaggio di quanto può offrire l’Albania, nell’arco di soli tre giorni.

Il Coro si è esibito a Durazzo, la prima sera, al Museo Culturale di Tirana la seconda e nella scuola Italiana di Tirana, il terzo giorno. Durante le esibizioni abbiamo eseguito brani del nostro vario repertorio, in particolare quelli di musica popolare italiana noti in tutto il mondo. Il pubblico era composto da studenti, autorità e semplici cittadini, ma sicuramente quello a noi più gradito lo abbiamo trovato nella scuola: spettatori in erba, molto attenti e partecipi, figli di Italiani, di Albanesi e di famiglie miste.

Lili ci ha fatto da guida a Durazzo, a Scutari, alla cittadina turistica montana di Kruja e, naturalmente, a Tirana.  Tirana è una città in via di modernizzazione, più ricca rispetto alla campagna circostante e con aspetti insoliti di tolleranza: convivono chiese cattoliche a fianco di grandi moschee, ad esempio. L’Albania ha una storia diversa da quella degli altri stati balcanici. Essendo circondata da montagne ha sviluppato un senso di estraneità rispetto ai Paesi vicini. I clan che un tempo la componevano si sono uniti grazie alla condivisione della stessa cultura, legata principalmente al paesaggio montano, nonostante il territorio sia affacciato sul mare. L’Albania ha dovuto subire per secoli la dominazione turca e questo ha lasciato, a mio avviso, un’impronta vagamente mediorientale e un carattere più tollerante o, forse, rassegnato.

La capitale è moderna e ricca rispetto al resto del Paese, che ci ha dato l’impressione di rivivere gli anni 60 in Italia, mentre, come da noi,  è presente anche qui la cappa di smog attuale, ben visibile arrivando in aereo. Il centro di Tirana presenta costruzioni imponenti, molte delle quali costruite dagli Italiani durante l’occupazione fascista: Università, Conservatorio ex Opera, Museo Storico Komberar. Enorme la piazza Kastriota con il monumento dell’eroe nazionale Gjergj Kastrioti Skenderbeu.

L’accoglienza in alberghi di buon livello e i pasti a base di prodotti locali genuini ci hanno fatto percepire la voglia di ben figurare e di progredire degli Albanesi e hanno fatto ricredere anche i meno aperti tra noi, che hanno pensato: “Non sono poi così male, questi Albanesi!” E tutti noi abbiamo anche capito molto dell’Albania andando a visitare il Bunker-Museo dedicato alle vittime della polizia segreta.

L’Albania, tornata indipendente dopo la prima guerra mondiale, durante la monarchia nazionale, nel 1939, venne invasa da noi Italiani e dopo la seconda guerra è stata tra i Paesi della “cortina di ferro”, subendo durante il regime totalitario un’oppressione inaudita. Ho saputo di fatti che non riesco neppure a riferire, ma, se andrete a Tirana, visitate l’Art Bunker e troverete foto e testimonianze scioccanti.

Sull’aereo del ritorno in Italia il mio posto è distante da quello dei miei amici.         La mia vicina è una donna albanese di mezza età, dall’aria dimessa, quasi certamente una contadina che va a trovare i parenti emigrati. Ha i capelli neri messi in piega dai bigodini e trovo che ricorda incredibilmente le nostre “campagnine” degli anni 60. Guardo dal finestrino la costa dell’Albania allontanarsi, per far posto alle isole Dalmate e, mentre dico mentalmente le solite orazioni propiziatorie, penso che difficilmente rivedrò questo Paese.

Ho sete perché fa molto caldo nell’aereo e chiedo alla hostess una spremuta che pago tre euro. La mia vicina mi guarda con stupore pagare l’esorbitante cifra e non prende nulla, ma io mi vergogno a bere la bibita da sola di fronte a lei e gliene offro la metà. Lei accetta con un sorriso e dopo un po’ in un Italiano stentato mi ringrazia. So che cosa sta pensando: “Non sono poi così male, questi Italiani!”

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Con il Coro in Albaniaultima modifica: 2019-01-17T18:32:34+01:00da picci-teacher
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