Si legge per amare

IMG_20170516_141507di Annalisa Rabagliati

 

Pochi giorni fa ho sentito in tv Piero Dorfles, scrittore e saggista, affermare che durante il confinamento da Covid  chi già era un lettore forte (più di un libro al mese) si è messo a leggere ancora di più. Il motivo, secondo me, è che dovendo stare in casa, senza avere la possibilità di incontrar gente, né di andare a vedere mostre e spettacoli, la lettura sia su carta, sia digitale, è stata un grande conforto. Io sicuramente ho avuto molto più tempo per dedicarmi a leggere, a volte con grande soddisfazione, altre un po’ meno.

Spesso ho condiviso con le amiche di un gruppo Whatsapp le mie impressioni sui libri letti (non oso chiamarle recensioni) e mi ha dato sollievo trovare somiglianze tra i loro pareri e i miei, perché, quando tutto il mondo dice che un certo romanzo è un capolavoro e non si condivide quest’opinione, ci si sente molto ignorante, credetemi.

Ogni promessa è debito, dice un vecchio detto, ed io avevo promesso, in un precedente articolo sulle mie letture, (“Quarantena: tempo per leggere”), di parlare di un libro che non ho apprezzato, benché abbia vinto il premio Strega e sia stato acclamato da tutti: “Il Colibrì”.  È il protagonista della storia a meritare questo appellativo, perché, nonostante durante la vita sia colpito da numerose disgrazie familiari, riesce a resistere con tutte le sue forze, fino a quando, malato oncologico terminale, decide di ricorrere al suicidio assistito, circondato dall’affetto della famiglia e degli amici.

Ci sarebbe stato da piangere davanti a una storia simile, eppure a me non è successo, stranamente, anzi, mi sono perfino annoiata leggendo e me ne vergogno un po’.  Me ne sono chiesta il motivo e l’ho attribuito all’aver letto il romanzo sotto forma di ebook in  prestito digitale, sul piccolo schermo dello smartphone, con l’ansia di finire prima della scadenza del prestito. Però ho letto altri romanzi in questo modo e alcuni mi hanno davvero conquistata. E allora?

Non sempre è il supporto a condizionare il giudizio. Ad esempio ho letto in cartaceo un libro di Lidia Ravera: “L’amore che dura”, prestatomi da un’amica. L’ho iniziato un po’ prevenuta, considerando l’autrice una sessantottina mutata in radical chic. La prima metà del libro l’ho letta per senso del dovere (dovevo restituirlo). Poi,  avendo intuito quale potesse essere il segreto della protagonista, l’ho finito con più interesse.

Né i personaggi, né il finale mi sono piaciuti, ma riconosco che molti dei giudizi dati dalla Ravera su certi aspetti della società moderna sono anche i miei e alcune riflessioni sui grandi temi esistenziali sono sintetiche e precise. Anche qui come in molti nuovi romanzi, tutta la storia è scritta al tempo presente o, se proprio necessario, al passato prossimo o all’imperfetto. Continuo a chiedermene il motivo: forse un’ abitudine che viene dallo scrivere sceneggiature?

È inutile, non si legge per passare il tempo, ma per amare un libro. E mi sono chiesta perché questi due romanzi di scrittori di successo non sia riuscita ad amarli. Forse la risposta sta nel fatto che i personaggi si muovono in un mondo che non è il mio: un mondo di gente nata e vissuta in un ambiente fortunato, verso il quale non provo empatia, né invidia, ma un certo sospetto. Mi sento spesso inadeguata a condividere le loro problematiche.

Mi sento come il vaso di coccio tra vasi di ferro di manzoniana memoria. Mi sento molto più vicina a storie come l’Arminuta o Borgo Sud o L’amica geniale, in cui le protagoniste vivono in famiglie di bassa estrazione, ma riescono, con lo studio e la volontà, a migliorare la propria posizione sociale. Ma aver fatto un salto di qualità non  impedisce,  anzi facilita loro la tolleranza verso l’inadeguatezza altrui e l’immedesimarsi nei problemi di chi si dibatte nelle ristrettezze economiche e di chi sa come è davvero logorante il lavoro manuale.

In certe situazioni non c’è spazio per elucubrazioni solitarie.  Tanti anni fa sentii il rampollo di una famiglia bene ricordare i suoi pomeriggi passati a guardare il soffitto, annoiato. Non so se in una famiglia non bene avrebbe potuto farlo. Che comprensione può avere, che vicinanza  può provare chi ha sempre avuto tutto verso chi ha poco o nulla? Forse può mostrare una solidarietà intellettuale, ma solo nel caso fortunato che sia una persona sensibile. Ma queste mie considerazioni sono a loro volta poco empatiche: capisco che quando si tratta di sofferenza di ammalati terminali, come nel primo libro, c’è poco da dire, le uniche parole possibili sono di rispetto.

In realtà anche Borgo Sud, il seguito de L’Arminuta, che mi era piaciuto tantissimo, mi ha lasciata un po’ delusa. Non certo per la storia, che parla della vita della protagonista del libro precedente e di sua sorella, dei loro amori sbagliati, dell’affetto che le unisce nelle difficoltà, senza leziose smancerie. Ma, anche se i sentimenti sono condivisibili e il destino delle due è toccante, non sono riuscita a commuovermi, a lasciarmi prendere come per il primo libro.

Confesso di aver provato un po’ di difficoltà a capire i salti da un momento all’altro della storia, intercalati senza chiare suddivisioni. La vicenda è raccontata al tempo presente e alternata a parti al passato prossimo o all’imperfetto e solo questo aiuta a mettere in successione ciò che accade in un certo momento del racconto e ciò che è accaduto in un tempo passato da pochi mesi o da anni. Mi sono messa quasi a riorganizzare la cronologia della storia narrata, avendo trovato faticoso distinguere fatti che si svolgevano in tempi diversi, perché scritti senza adeguate pause, e difficile comprendere a chi appartenessero le battute di un dialogo.

Praticamente il libro si sviluppa nel modo in cui si avvicendano i pensieri e i ricordi della protagonista. Lavoro di gran pregio, ma che non mi ha aiutata a farmi coinvolgere, come mi sarei aspettata.

Sono troppo pignola? Non sono all’altezza dei libri che leggo? Ho solo voluto spiegare perché questi libri non mi hanno appassionata come speravo. Questione di gusti, e i latini, che hanno coniato il detto “De  gustibus non est disputandum”, la sapevano lunga.

Che cosa si cerca in un libro? Coinvolgimento. E come si può sapere se questa magia accadrà? Solo leggendo. Quando si sceglie un libro che cosa orienta la scelta? La copertina accattivante, il titolo suggestivo o il passaparola e le recensioni dei giornali? Di tutto un po’ nel mio caso. Ma ad agosto è stato il tragico epilogo dell’occupazione americana in Afghanistan a consigliarmi. Ho prenotato subito il prestito online di “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, perché volevo saperne di più.

Anni fa avevo visto il film “Il cacciatore di aquiloni”, tratto dal libro dello stesso autore, ambientato a Kabul, ma era una storia di ragazzi. “Mille splendidi soli” è una storia di donne. Donne che vivono, che sopravvivono in Afghanistan, e di fronte alle loro storie tutti i nostri piccoli problemi borghesi scompaiono. Il romanzo di Hosseini ci fa immergere in quella realtà disumana per la popolazione, soprattutto per le donne.  Ci fa conoscere gesti inauditi di cattiveria gratuita e ci racconta di solidarietà femminile spinta alle estreme conseguenze. Le due protagoniste sono calate in vicende tragiche che sembrano non avere altra via d’uscita che la morte.

È una storia  inventata, ma sarebbe stato difficile per l’autore immaginare situazioni tanto  cruente se  non si fosse ispirato a ciò che gli avevano raccontato molte sue connazionali.                                                                                                             Ringraziamo il Cielo di essere nate in questa parte del mondo, di non aver dovuto subire le vessazioni e le ingiustizie sociali e familiari che hanno subìto e continuano a subire le Afghane, dopo un breve precario periodo di modernità e cerchiamo di non lasciarle sole nella loro disperazione, anche ora che i riflettori sull’Afghanistan si sono spenti.

Nella prefazione, per cui già varrebbe la pena di leggere il libro, l’autore proclama il suo obiettivo di scrittore: rendere partecipe il lettore dell’amore che, nonostante tutto, riescono a donare le donne afghane, e coinvolgerlo totalmente in una storia appassionante, fino a portarlo a provare empatia verso un popolo così distante dal mondo occidentale, in tutti i sensi. Insomma: farlo innamorare dei personaggi e della loro storia. Con me ci è riuscito.

 

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Si legge per amareultima modifica: 2021-11-25T19:09:13+01:00da picci-teacher
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