Kennedy, mito degli anni 60

di Annalisa Rabagliati
CjmwF1wWUAALwymIeri ricorreva il centesimo anniversario della nascita di John Fitzgerald Kennedy e quasi tutti i giornali ne hanno brevemente parlato.
Molto più rilievo venne dato tre anni e mezzo fa ( 22 novembre 2013) al cinquantenario dell’assassinio del presidente americano, ma ricordo che rimasi stupita e un po’ delusa per il modo in cui si parlò della ricorrenza, tanto che mi venne da scrivere le considerazioni che seguono.

….Dopo anni in cui non si spendeva una sillaba per l’anniversario della morte di JF Kennedy, ieri, oltre che sui giornali, per commemorarne il cinquantesimo sono stati programmati numerosi servizi televisivi. Io sono molto interessata all’argomento ed ho seguito in particolare due documentari di Rai Storia e, alla sera, un dibattito, su Rai Tre, ma, mentre seguivo questo programma,sono rimasta un po’ contrariata. Non che mi aspettassi un’elegia: 50 anni non sono passati invano, neppure per me .

Ho scoperto anch’io che la politica di Kennedy e la sua figura non erano bontà a tutto tondo. Infatti dopo centinaia di articoli sulle più diverse teorie di complotto per assassinarlo, giornalisti e storici hanno iniziato, in linea con il mutamento delle idee, a interessarsi a Kennedy per altri motivi, facendo luce sulle sue responsabilità in campo politico. La certezza che dietro l’assassinio ci fossero grandi interessi rappresenta ormai l’unico punto condiviso sulla sua storia.

Gli interventi dei due autorevoli ospiti del programma di ieri sera sostanzialmente asserivano che Kennedy non era e non è poi così popolare in America, che le sue idee non erano, come si è sempre pensato, condivise da tutti e che è diventato un mito grazie alla sua morte.

La prima affermazione è stata subito smentita dai dati: tre quarti della popolazione americana è ancora addolorata per la sua perdita prematura.
Sarà vero che è diventato un mito perché morto assassinato, ma non dite che non era amato nel mondo e che le sue idee non erano condivise, perché il suo messaggio era giovane, fresco, innovativo, aperto , rivolto all’umanità intera: bianchi e neri con gli stessi diritti, darsi da fare per migliorare la società invece di aspettare rassegnati, immedesimarsi con i problemi degli altri popoli (“Ich bin ein Berliner”)….

Il suo era un invito alla speranza che si elevava sul grigiore degli altri politici. E poi la sua figura era bella, giovane, accattivante. Come si faceva a non amarlo?
Provavamo per lui lo stesso sentimento di simpatia che ci travolse quando fu eletto Obama, o perfino il primo Clinton.

Mitizzare le persone in vita è pericoloso: prima o poi i miti cadono dal piedestallo e ci delude che non siano gli esseri soprannaturali e perfetti di cui abbiamo bisogno. Se invece muoiono giovani, al culmine della gloria, ne resti affascinato per sempre e poco importa se il giudizio storico su di loro cambia.

Nel programma di ieri sera si asseriva che Kennedy piaceva ai radical chic che avevano frequentato campus svizzeri. Ma io, come tanti altri innamorati di lui, non ero figlia della buona società. Ero una bambina del popolo, anzi, del popolino . Con la misera paghetta settimanale correvo dal giornalaio a comprarmi il settimanle Epoca e mi tuffavo negli articoli che lo riguardavano. Ho impresse nella mente le immagini dei suoi funerali, la vedova in nero, i cappottini azzurri dei figli. Ricordo bene che nei giorni dopo la sua morte fantasticavo di volare in America per riportarlo, come in una fiaba, alla vita. E la sua fine ancora mi commuove.

Il programma televisivo aveva un’aria distaccata, leggera, forse per la professionalità del conduttore, forse perché dopo tanto tempo e tante tragedie si vedono le cose con il famoso senno di poi. Ma quello stile era inadeguato alla gravità delle immagini dell’assassinio trasmesse. Immagini che sono patrimonio collettivo della nostra generazione.

Mentre assistevo pensavo: “A chi giova il programma? Non ai giovani che non possono capire che ci fosse di tanto speciale. Non a chi ha vissuto in quell’epoca, che ci tiene ad accarezzare i propri ricordi. Allora meglio l’obiettività di un documentario storico. Non infangate troppo il mio sogno di bambina. Per una volta, non sarò politicamente corretta, me ne infischio dell’altra campana !”
Ed ho spento il televisore.

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Kennedy, mito degli anni 60ultima modifica: 2017-05-30T23:04:45+02:00da picci-teacher
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