di Annalisa Rabagliati
Questo è quello che dicevano i componenti del coro La Gerla durante i viaggi per scambi corali che si facevano un tempo. Eh sì, perché ora i coristi sono abituati a viaggiare in aereo o in bus turistici extra lusso, a soggiornare in alberghi 4 / 5 stelle, (tra cui spicca quello splendido di Tokyo e fa eccezione l’hotel di New York, unica casupola economica tra i grattacieli), insomma ad effettuare trasferte con tutti i confort..
I nuovi e più ingenui coristi credono che sia sempre stato così, ma non sanno ad esempio che si può viaggiare con un bus dentro il quale piove e su cui si può salire guadando la strada allagata grazie ad un ponte di cassette di plastica rinforzate per i coristi più in carne, come quando partecipammo ad un concorso ad Adria nel 92. O che per una trasferta che adesso si farebbe in un’ora di aereo, si può viaggiare tutta la notte dormendo seduti, come nel primo viaggio all’estero del Coro: Parigi 1990. Dire dormendo è un eufemismo, se si può considerare sonno quello cui si tenta di abbandonarsi tra i canti, le chiacchiere e l’inevitabile ascolto delle confessioni tra fumatori insonni seduti accanto all’autista.
I neofiti non sanno delle ore passate girando intorno ad alcune città, cercando invano il giusto modo di raggiungere il centro. O degli errori di rotta degli autisti, che non avevano ancora il navigatore, o non lo usavano come a Moneglia, a Trieste… Che ne sanno delle strade fatte in retromarcia, magari in salita, vedi Perugia nel 91? Che dire delle sistemazioni di fortuna, con quattro persone in cabine da tre (qui nacquero forse inconfessati amori non eterosessuali) e della navigazione in cargo, a giocare a carte con i camionisti di ritorno dalla Sardegna ? Nota curiosa: per il nostro primo viaggio in nave il maestro indossò un cappellino con la scritta “Titanic”..
E vogliamo parlare dei rientri a Torino a tarda notte, doverosamente in ritardo?
Chi c’era, poi, non potrà mai dimenticare il viaggio in Polonia del 94, con la tragica sosta a Praga, visitata di corsa per arrivare in tempo all’appuntamento con una 126 bianca che ci attendeva con i fari accesi per guidarci alla nostra destinazione, un paesino minerario polacco di cui avevamo ospitato il coro. Purtroppo uno dei nostri venne derubato del passaporto e così il tempo risparmiato con la frettolosa visita in Cechia fu riperso con molti interessi alla frontiera ceco/ polacca, dove un solerte controllore salì sul pullman per scrutarci uno ad uno ed identificarci, quasi fossimo pericolose spie! Il poveretto senza passaporto fu rimandato indietro senza pietà e senza tener conto del fatto che eravamo un gruppo in viaggio verso un’unica meta.
Giungemmo all’appuntamento in piena notte, inseguendo inutilmente ogni 126, auto all’epoca molto usata, e ovviamente ognuna con i fari accesi! Per fortuna un autoctono leggermente alticcio si offrì di insegnarci la strada per il nostro ostello. Fortuna sua, però, perché anziché portarci lì si fece accompagnare a casa. Fu invece la polizia che ci condusse nel luogo giusto, un collegio dei Salesiani i cui allievi erano in vacanza.
Andando in Polonia in Dicembre credevamo di dover patire il freddo, ma di stare in una decorosa pulizia. Come tutte le previsioni anche questa si rivelò una profezia al contrario: faceva caldo nel collegio, però… La stanza che occupavo con la mia famiglia emanava un odore di grasso rancido e dietro il cuscino vi era un cumulo di sporcizia che era stata ammucchiata con quel che restava di una mezza scopa. Sarò impressionabile, ma mi coricai vestita pensando: “Ha da passà ‘a nuttata!”
I bagni in comune ( intendo dire uomini e donne) avevano una sola porta che peraltro non si chiudeva bene e ricordo la difficoltà di tenerla con una mano, mentre con l’altra si tenevano i pantaloni e ci sarebbe voluta una mano in più per tutto il resto… Ti veniva voglia di lavarti come i gatti, anche se un eroico corista fece la doccia scalzo in quell’ambientino. Io emigrai al piano terra, dove c’era un bagno più accettabile, ma venni subito fermata da una corpulenta kapò che mi ordinò di tornare nel mio reparto. Naturalmente finsi di non capire!
Ricordo la grande povertà delle case nel paesino polacco, ma anche la dignità del museo, della scuola e della chiesa che visitammo. Tuttavia quando, lasciate Polonia e Repubblica Ceca, giungemmo in Austria fummo estasiati dalle mille luci natalizie di Vienna e ricordo con grande piacere la pulizia del convitto delle suore dove soggiornammo e la loro deliziosa minestra. E il giorno dopo intonammo tutti spontaneamente il valzer di Strauss quando il pullman attraversò il ponte sul bel Danubio blu .
“Ma scusa, – dirà a questo punto il mio accorto lettore,- se erano così tremendi questi viaggi La Gerla, perché parteciparvi?”
Devo dire che anche una ex corista mi chiese, or sono circa vent’anni, chi me lo faceva fare. “ Se vuoi viaggiare,- disse – puoi farlo da sola, magari affidandoti ad un’ agenzia”.
Ebbene, io viaggio molto, perché mi piace vedere posti nuovi, ma nei viaggi La Gerla l’importante non è soltanto la meta. Chi ha partecipato almeno una volta sa quanto ci si diverte a stare in compagnia e che se ci sono difficoltà riderne insieme è un altro motivo di affiatamento. Si crea un’atmosfera magica in un viaggio in compagnia di gente che si impara a conoscere con un altro spirito, si scherza, si canta tutto il tempo, si bisticcia un po’ quando si è un po’ stanchi, ma basta poco e tutti i piccoli conflitti estemporanei sono superati. Insomma è quasi come un grande matrimonio allargato a tutti i componenti del Coro e aggregati. Per pochi giorni la vita normale è come sospesa, si vive tutti insieme e lo scopo di ciascuno è quello di fare bella figura durante la nostra esibizione in concerto. Poi, tornati a Torino, l’unione di fatto si scioglierà, ma resteranno i ricordi e migliaia di fotografie, che, in un tempo non digitale, passavano di mano in mano durante le prove, facendo incavolare il maestro!
E tra i ricordi di un viaggio della Gerla c’è sempre l’accoglienza straordinaria del coro con cui facciamo lo scambio. Tutti dicono che l’accoglienza dei nostri amici del coro giapponese è stata eccezionale, ed è vero, ma io non dimentico quella dei cori francesi di Buxy, di Nizza, di Chambéry, del Queyras, di Lyon, abituati ad ospitare nelle loro case dei perfetti sconosciuti e a far festa insieme. É proprio questa ospitalità che ti fa conoscere l’anima vera del luogo che visiti. E che dire dei tanti cori italiani di Friuli, Veneto , Emilia, Sardegna, Abruzzo, Marche, Toscana, Lombardia….non riesco a citarli tutti! Cori che ci hanno accolti con entusiasmo, come fossimo fratelli.
Ma in particolare ricordo la grande festa organizzata da quello dei minatori polacchi, che iniziò alle sei del pomeriggio e terminò alle due di notte e solo perché noi non ce la facevamo più, mentre loro avrebbero continuato a ballare, cantare e bere birra fino al mattino. Passavano con gli annaffiatoi a distribuirla! A tutti venne regalato un boccale e chi non era attento e se lo faceva rubare finiva in una gabbia, da cui sarebbe uscito solo per l’intercessione di qualcuno che cantasse per lui. Walter restò lì a lungo, finché Silvana coraggiosamente si esibì e lo liberò. Ci fu anche l’iniziazione dei futuri minatori, una specie di cerimonia massonica in cui alcuni ragazzi dovevano recitare una richiesta solenne per entrare nella confraternita dei minatori. Anche mio figlio venne inserito nel gruppo dei richiedenti. Per l’occasione essi indossavano un grembiule di cuoio ed era onnipresente un gruppo di soci anziani denominato “Presidium” che teneva le fila dei finti processi e delle formalità, facendo discorsi per noi incomprensibili, che si concludevano tutti con l’inno al Presidium, appunto.
Insomma, l’impressione che ricevemmo dalla festa fu che un coro di una popolazione allora con pochi mezzi aveva voluto offrirci un’ospitalità memorabile.
Il solito lettore un po’ pistino si chiederà: “Perché mai un Coro viaggia ?” Ovviamente per effettuare scambi corali, ma soprattutto per cantare insieme in luoghi diversi e non solo durante i concerti. Il maestro ha questo desiderio costante e noi lo condividiamo.
Abbiamo cantato in Europa, in America e in Asia e forse un giorno andremo con le renne a Capo Nord per cantare.
Abbiamo cantato sotto la luna in piazza San Marco e davanti al lager di Dachau , nella pioggia.
In piazza del Campo a Siena e sulla piazza del Cremlino, davanti al Duomo di Milano e nella basilica di San Francesco ad Assisi. Nelle grotte dell’Ogliastra e sul Ponte di Bassano. Nel Teatro di Verdi a Busseto e con la fisarmonica nel quartiere delle geishe a Kyoto. Sotto la statua della regina Vittoria a Londra e sotto la cupola di San Pietro, mentre il Papa dormiva ancora.
Abbiamo cantato sulle navi e nelle metropolitane, sulle Alpi e sul mare, negli aeroporti e in mille altri luoghi che non ricordo in questo momento.
Il posto più alto dove abbiamo cantato? Sul grattacielo Montparnasse a Parigi e sul Rockfeller a New York, sulla Tour Eiffel e sul volo Mosca/Roma (sugli altri voli no, perché ci hanno sgridato).
Abbiamo cantato a Ground Zero per la pace e sul battello per Ellis Island per tutti gli emigranti.
Abbiamo cantato ad Hiroshima e, anche se quella volta eravamo solo in tre, c’era tutto il coro con noi, anche i coristi che non ci sono più e quelli che verranno dopo di noi ad esprimere col canto i nostri stessi sentimenti.
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Ciao Anna.
Questo è il primo dei tuoi racconti che ho letto e mi è piaciuto.
Ho viaggiato con te sul bus, o in aereo, cantando col coro… ho visto luoghi e persone che non conosco e ho desiderato la complicità coii coristi, di cui hai parlato.
Non posso darti suggerimenti, non ne ho le competenze (posso solo dirti se mi è piaciuto o no e perché).
Se posso darti un consiglio è solo da webmaster e cioè:
leggere su uno schermo illuminato è diverso che sulla carta, gli occhi sbattono di più, perché la luce li irrita e la vista si affatica.
É quindi più difficile tenere il segno. Il trucchetto consiste nel lasciare una riga di spazio ogni 5/6 righe di scritto. In questo modo si legge per blocchi ed è più facile tenere il segno. 😉
Ti leggerò ancora!
Buona giornata!
ciao Cristina,
grazie per il commento: sono contenta che tu ti sia immedesimata così, mi fa molto piacere. E grazie molte anche per il consiglio da professionista del web. Cercherò di metterlo in pratica, anche se non sempre riesco a fare quel che voglio nella pagina e non riesco neppure a farmi aiutare dall’help desk. Non sembrerebbe, ma non è facile. Ad esempio i miei amici non riescono a mettere i loro commenti a causa del codice Captcha. Ero riuscita ad eliminarlo, ma poi, magicamente, è tornato e loro non riescono, con lo smartphone, a riscriverlo, così rinunciano a commentare nel sito. Però quel che mi fa piacere è quando qualcuno mi dice, come hai fatto tu, che il mio scritto gli è piaciuto, mi incita ad andare avanti! A presto!