3 aprile 2022, trentanovesimo giorno di guerra.

di Annalisa Rabagliati

Domenica sera, trentanovesimo giorno di guerra, anzi, di operazione militare speciale.  Mentre noi ci chiediamo dove andare dopo cena, o quale canale tv guardare, non molto distante da noi c’è chi non sa come passerà la notte, se farà bene a restare in casa o se farà meglio a correre al rifugio, come facevano i nostri vecchi durante la guerra che ci pareva fosse stata l’ultima. Mentre ceniamo tranquilli, al tg vediamo dentro un tombino il cadavere di un uomo trucidato e scorrono le immagini di Bucha, una piccola città ad ovest di Kiev, dove i Russi, ritirandosi, hanno lasciato una scia di morti sulle strade: civili inermi uccisi senza motivo, per puro odio.

In questi giorni abbiamo imparato i nomi di città ucraine di cui ignoravamo l’esistenza: Kharkiv, Chernihiv, Mykolaiv e altre dai nomi impronunciabili e Mariupol, la città con il nome di Maria che il Papa ha definito martire.  Ma anche Irpin è stata quasi distrutta e proprio lì un bambino di soli due anni e mezzo è stato raggiunto, nel suo lettino, da un missile che gli ha tagliato le gambe! Aveva appena imparato a camminare e ora sarà invalido per tutta la vita.

I bambini ucraini morti  ieri erano 153 e 245 i feriti, oggi 158 morti e 254 feriti. Come possiamo restare indifferenti?  Come possiamo continuare a discutere, al riparo della nostra tastiera, sulle ragioni opposte delle parti di questa guerra insensata? Che importa chi avesse ragione e chi torto? Ho sempre detto ai bambini che chi picchia ha sempre torto e ho sempre saputo che i veri uomini non aggrediscono il più debole. L’invasore se ne vada, al più presto, senza aspettare date fatidiche, quaranta giorni di guerra sono già troppi.

Intanto noi Europei siamo combattuti tra la voglia di por termine all’invasione e la paura che si inneschi la terza guerra mondiale, che potrebbe essere davvero l’ultima. Ma anche la guerra con armi tradizionali non ha mai risolto nulla, anzi, ha creato i presupposti per altre guerre e altre ingiustizie. Russi e Ucraini si consideravano fratelli, parlano lingue simili, ma le guerre civili e quelle tra popoli vicini sono sempre state le più feroci. L’odio che nasce ora per la violenza usata, durerà a lungo, di sicuro.

I profughi sono già sei milioni e mezzo: lasciano le loro case, il loro Paese, tutti quelli che temono le conseguenze dell’invasione. Usano ogni mezzo che hanno a disposizione e sono per lo più donne con i bambini, mentre i vecchi aspettano di morire a casa, sperando di non  soffrire troppo. Le vediamo, queste persone, vestite come noi, le donne con le unghie smaltate, ma con le braccia cariche del peso dei loro bagagli e della loro paura, con i bimbi in braccio o per mano, con cani e gatti al guinzaglio o in una borsa. L’amore non lo lasci nel pericolo. Lo porti con te.

E sono proprio queste immagini che ci rendono gli Ucraini così vicini. Li vediamo simili a noi e tendiamo loro la mano, cercando di aiutarli,  mostrando però di avere un fondo di razzismo, perché non siamo altrettanto solidali con altri profughi, dalla pelle più scura, che non hanno la nostra stessa attenzione per gli animali, che non hanno il nostro genere di civiltà. Eppure siamo nati tutti sotto lo stesso cielo e non è il caso di fare distinzioni tra buoni e cattivi, tra popoli a noi affini e altri dalla mentalità diversa: si soffre tutti allo stesso modo.

Ricordiamo allora ciò che disse Hemingway: “Quando muore qualcuno muore un pezzo di umanità. Perciò, quando suona la campana, non ti chiedere per chi suona, se per un amico o per un nemico. Essa suona per te.”

 

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3 aprile 2022, trentanovesimo giorno di guerra.ultima modifica: 2022-04-06T12:28:50+02:00da picci-teacher
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